Spreco alimentare, Waste Watcher: “2024, siamo più spreconi” (Foto Sarah Chai per Pexels)

Risale lo spreco alimentare in Italia e la crisi sociale generata dall’inflazione comporta l’acquisizione di nuove abitudini alimentari, fra cui l’acquisto di cibo low cost. Un consumatore su 2 (49%) dichiara di potenziare l’acquisto del cibo online e 4 consumatori su 10 (39%) fanno la spesa cercando solo i prodotti alimentari in promozione.

«Se in un primo momento l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi», spiega il professore di economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile Andrea Segrè.

A fotografare lo stato dello spreco alimentare in Italia è, in vista della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco del 5 febbraio, è il Rapporto “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste Watcher International.

Waste Watcher, il caso Italia e lo spreco alimentare

Nel 2024, spiega il Rapporto, “siamo improvvisamente più spreconi” – e il motivo è anche l’acquisto di cibo di scarsa qualità che deperisce prima, emerge dall’analisi.

I numeri dell’Osservatorio: si passa da 75 a quasi 81 grammi di cibo buttato ogni giorno pro capite nelle nostre case (80,9 grammi, per l’esattezza) e da 524,1 grammi settimanali nel 2023 a 566,3 grammi settimanali nel 2024. Si tratta dell’8,05% di spreco in più rispetto a un anno fa. Nel 2024 in Italia lo spreco alimentare costa circa 290 euro annui a famiglia, circa 126 euro pro capite ogni anno.

Si spreca di più nelle città e nei grandi Comuni (+ 8%) e meno nei piccoli centri, sprecano di più le famiglie senza figli (+ 3%) e molto di più i consumatori a basso potere d’acquisto (+ 17%). Si spreca di più a sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e meno a nord (- 6% rispetto alla media).

Vale oltre 13 miliardi euro lo spreco complessivo di cibo in Italia: un dato vertiginoso che include lo spreco a livello domestico – che incide per oltre 7miliardi e 445 milioni), quello nella distribuzione che vale circa la metà (quasi 4 miliardi euro), oltre allo spreco in campo e nell’industria, molto più contenuto.

 

Fonte SprecoZero

 

Inflazione, allarme sociale, cibo

La questione allarmante è poi l’allarme sociale che emerge dall’incertezza generale. Waste Watcher International ha analizzato i dati sul piano della sicurezza alimentare in Italia usando l’indice FIES (Food Insecurity Experience Scale), che misura il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente. Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce “popolare” e fatica ad arrivare alla fine del mese, oltre il 10% della popolazione secondo l’Istat, vede un aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana.

“L’’effetto inflazione comporta scelte eloquenti e l’acquisizione di nuove abitudini alimentari – spiega Waste Watcher – Qualche esempio: 1 consumatore su 2 (49%) dichiara dii potenziare l’acquisto di cibo online, oltre 1 consumatore su 3 (39%) si butta sugli alimenti in promozione, e oltre 1 consumatore su 3 decide di autoprodurre il cibo (38%). Nella hit delle nuove scelte di acquisto l’attenzione si rivolge con più determinazione verso l’acquisto del cibo a ridosso di scadenza (32%) e di rifornirsi di legumi e derivati vegetali, a scapito del consumo di carne (31%). Perde terreno il cibo biologico, spesso troppo costoso per un ridotto potere d’acquisto (7%) e perdono terreno le grandi marche (11%)”.

Lo spreco riguarda soprattutto la frutta fresca, che svetta fra gli alimenti più gettati nell’ultima settimana media dei consumatori (25,4 grammi), seguono cipolle aglio e tuberi ma anche il pane fresco (20,1 grammi), le insalate (13,8 grammi) e le verdure (13,2 grammi).

«Sono dati che dobbiamo attenzionare con cura – rileva il direttore scientifico Waste Watcher, Andrea Segrè – perchè ci permettono di evidenziare la stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale. Se in un primo momento l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali. In definitiva: da poveri mangiamo e stiamo peggio, e sprechiamo persino di più. E questo circolo vizioso si riverbera sull’ambiente. Se vogliamo davvero “fare la differenza”, come chiede il claim dell’11^ Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, l’azione deve essere sinergica: ciascuno nel suo quotidiano, ma servono anche e soprattutto politiche pubbliche mirate a mitigare gli impatti dell’inflazione sulla sicurezza alimentare, con un focus particolare sulla tutela dei ceti sociali più vulnerabili».


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