Balneari, sulle spiagge si riaccende il dibattito (Foto di Argentino Becci da Pixabay)

Le concessioni balneari delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente. I giudici nazionali e le autorità amministrative sono tenuti ad applicare le norme pertinenti di diritto dell’Unione, disapplicando le disposizioni di diritto nazionale non conformi.

La pronuncia della Corte di giustizia della Ue sulle concessioni balneari alimenta il dibattito pubblico su un tema che si trascina da anni e che chiama in causa la necessità di fare le gare, l’applicazione della normativa europea, la sollevazione degli imprenditori balneari e dall’altro lato il fatto che in generale i canoni pagati siano molto bassi, a fronte di ingenti guadagni. I balneari hanno accolto la sentenza della Corte richiamandosi alle parole sulla “scarsità di risorsa”; gli ambientalisti da loro canto chiedono di non perdere tempo, di mappare le concessioni esistenti, di adeguare i canoni e di aumentare le spiagge libere.

 

Balneari, Corte di Giustizia Ue: le concessioni non possono essere rinnovate automaticamente (Foto di Gábor Adonyi da Pixabay)

 

I balneari e la pronuncia della Corte

«La sentenza della Corte di Giustizia europea sottolinea l’importanza fondamentale della verifica della scarsità della risorsa a livello territoriale e nazionale – dice in una nota Maurizio Rustignoli, presidente Fiba Confesercenti – È un tema che lo Stato membro può e deve gestire, e quindi può valutare anche una diversa applicazione della direttiva sulla concorrenza. In questo senso, la strada intrapresa dal Governo italiano, che vuole procedere concretamente con la mappatura delle coste italiane, è quella giusta».

Per il Sindacato italiano balneari “il presupposto per l’applicazione della direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo è la “scarsità di risorsa” e cioè l’impossibilità del rilascio di nuove concessioni. È stato chiarito che la “scarsità” dev’essere valutata combinando un approccio generale con una valutazione caso per caso”. Il Sib chiede al Governo di accelerare nella “ricognizione delle concessioni demaniali marittime vigenti per la verifica della “scarsità della risorsa” emanando anche una nuova legge che faccia “un corretto bilanciamento fra l’esigenza di una maggiore concorrenza con la tutela dei diritti dei concessionari attualmente operanti”.

Legambiente: “Non ci sorprende la pronuncia UE, si continua a perdere tempo”

Legambiente chiede invece di non perdere più tempo. “Il Governo italiano proceda rapidamente a mappare le concessioni balneari, a adeguare i canoni in parte irrisori; costruisca bandi di gara basati su criteri di premialità ambientale e armonizzi le normative regionali per aumentare le spiagge libere”, rivendica l’associazione.

«Non ci sorprende la pronuncia della Corte UE – ha detto Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente – In Italia ancora non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione e, di conseguenza, in tante realtà le spiagge libere restano un miraggio».

«In media, – prosegue Ciafani – dal 2016 al 2020 lo stato italiano ha incassato meno di cento milioni di euro per anno per le concessioni balneari, una difformità su cui la Corte dei Conti ha strigliato più di una volta i Governi. Un’anomalia a cui il Governo italiano deve porre rimedio urgentemente. In questi anni la discussione politica si è concentrata sulla Direttiva Bolkestein finendo per coprire tutte le questioni, senza distinguere tra bravi imprenditori e non, e senza guardare a come innovare e riqualificare il settore».

Fra i nodi da risolvere ci sono dunque quello di avere dati adeguati, canoni che non siano irrisori e più spiagge libere. Nel rapporto Spiagge 2022, Legambiente spiegava che in Italia è sempre più difficile trovare spiagge libere. A pesare un insieme di fattori: la crescita in questi anni delle concessioni balneari, che toccano quota 12.166, l’aumento dell’erosione costiera che riguarda circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970, e il problema dell’inquinamento delle acque, che riguarda il 7,2% della costa sabbiosa interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento.

È necessaria, spiega Ciafani, «una mappatura rapida delle concessioni balneari ed in generale di quelle sul Demanio marittimo, superando la non completezza dei dati sulle aree demaniali e soprattutto l’assenza di un regolare e affidabile censimento; un adeguamento dei canoni, attualmente per buona parte irrisori; una armonizzazione delle normative regionali per aumentare le spiagge libere; e costruire bandi di gara inserendo criteri di premialità ambientale, per fare in modo che le concessioni vengano assegnate sulla base della proposta migliore dal punto di vista ambientale”.

«Basta perdere tempo. La vicenda della Bolkestein ha funzionato come strumento di distrazione di massa rispetto ai veri problemi dei litorali italiani – aggiunge Sebastiano Venneri, responsabile territorio e innovazione di Legambiente –. Negli ultimi 50 anni il nostro Paese ha perso 40 milioni di metri quadrati di spiagge a causa dell’erosione costiera, come racconta il Rapporto spiagge 2022 di Legambiente. Non si dimentichi poi che, parlare di spiagge significa anche parlare di sostenibilità ambientale. In questo senso si proceda accelerando nella direzione della qualità e sostenibilità ambientale, replicando quelle tante esperienze virtuose e green messe in campo già da molti lidi e apprezzate sempre più dai cittadini che cercano qualità e rispetto dell’ambiente».


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