
Tutela dell’ambiente e restrizione del diritto di proprietà, una sentenza della Corte UE
Tutela dell’ambiente e restrizione del diritto di proprietà, una sentenza della Corte UE
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’UE, la restrizione del diritto di proprietà per motivi legati alla tutela dell’ambiente non conferisce sempre il diritto a un indennizzo
La Corte di Giustizia dell’UE ha stabilito che la tutela dell’ambiente può giustificare una restrizione all’esercizio del diritto di proprietà, che non conferisce necessariamente un diritto ad indennizzo (qui i dettagli delle sentenze).
La decisione riguarda due vicende specifiche, che hanno coinvolto la Sātiņi-S.
Tutela dell’ambiente e diritto di proprietà, il caso delle torbiere
Nel primo caso la Sātiņi-S aveva acquistato, nel 2002, 7,7 ettari di torbiere, situati in una zona naturale protetta e in una zona di conservazione d’importanza comunitaria Natura 2000 in Lettonia.
Natura 2000 – si legge nella sentenza – è una rete comunitaria di zone di protezione della natura, creata in attuazione della direttiva «habitat». Tale rete include anche zone designate ai sensi della direttiva «uccelli» e mira a garantire la sopravvivenza a lungo termine delle specie e degli habitat più preziosi e più a rischio in Europa.
Il 2 febbraio 2017, dunque, la Sātiņi-S ha presentato al Servizio di sostegno al mondo rurale una domanda di indennizzo, per gli anni 2015 e 2016, con riguardo al divieto d’impiantare coltivazioni di mirtilli rossi nelle torbiere acquistate. Il Servizio ha però respinto la domanda, in quanto la normativa nazionale applicabile non prevedeva un tale indennizzo.
La Sātiņi-S ha fatto ricorso prima dinanzi all’Administratīvā apgabaltiesa (Corte amministrativa regionale, Lettonia) e poi, per cassazione, dinanzi al giudice del rinvio, l’Augstākā tiesa (Senāts) (Corte suprema, Lettonia).
La decisione della Corte UE
Nella sua sentenza la Corte constata, innanzitutto, che «torbiere» o «terreni torbosi» situati in zone Natura 2000 che non rientrano nella definizione di «superficie agricola» o in quella di «foresta» ai sensi del regolamento n. 1305/2013 non possono beneficiare d’indennità in forza dell’articolo 30 di tale regolamento.
Infine la Corte rileva che, nella sua formulazione, l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea conferisce espressamente un diritto ad indennità solo in caso di privazione del diritto di proprietà, come un’espropriazione, ipotesi che manifestamente non si verifica nel caso trattato.
Infatti – spiega la Corte – il divieto d’impiantare una coltivazione di mirtilli rossi in un bene rientrante nella rete Natura 2000 costituisce non una privazione del diritto di proprietà su tale bene, bensì una limitazione del suo uso, il quale può essere regolamentato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale, conformemente a quanto previsto dall’articolo 17, paragrafo 1, terza frase, della Carta.
Tutela dell’ambiente e danni all’impresa causati dagli animali
Nel secondo caso, oggetto della sentenza, la Sātiņi-S aveva acquistato, nel 2002, due immobili di una superficie complessiva di 687 ettari, di cui 600,70 ettari di stagni, in una riserva naturale protetta, la quale è stata in seguito inclusa, nel 2005, nella rete Natura 2000 in Lettonia.
Nel 2017 la Sātiņi-S ha presentato all’Autorità di tutela dell’ambiente una domanda di indennizzo per i danni causati all’acquacoltura da uccelli e altri animali tutelati. L’Autorità ha però respinto la domanda, in quanto alla Sātiņi-S era già stato concesso un importo totale corrispondente al massimale dell’aiuto de minimis di 30.000 euro, per un periodo di tre esercizi finanziari.
La Sātiņi-S ha presentato, dunque, un ricorso respinto sia in primo sia in secondo grado, e infine un ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio, l’Augstākā tiesa (Senāts).
Nella sentenza la Corte ha stabilito, innanzitutto, che l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non impedisce che l’indennizzo possa essere sensibilmente inferiore ai danni effettivamente subiti da tale operatore.
La Corte ha osservato, inoltre, che i costi connessi al rispetto degli obblighi regolamentari in materia di tutela dell’ambiente, e in particolare della fauna selvatica, e all’assunzione dei danni che quest’ultima può causare ad un’impresa del settore dell’acquacoltura rientrano nei normali costi di esercizio dell’impresa stessa.
