"Finalmente una svolta nella protezione dell’ambiente e nella lotta alle ecomafie". Questo il commento soddisfatto di Francesco Ferrante, direttore generale di Legambiente, sul via libera alle direttive contro gli eco-reati dato dalla Corte di giustizia europea che "suona anche come una implicita tirata d’orecchie alle posizioni del governo italiano e di altri Stati membri tese ad una deregulation in campo ambientale".

"Un passo importante – ha aggiunto Ferrante – soprattutto per quei reati che da noi vengono trattati con semplici sanzioni amministrative, provvedimenti non sufficienti a piegare gli interessi e le attività criminali che rappresentano una seria minaccia per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei cittadini. Tanto più che le ecomafie non rappresentano una "esclusiva" del nostro Paese, come hanno già evidenziato ricerche condotte in sede europea e contributi elaborati dall’Europol".

In Italia, i tradizionali business dell’ecomafia (cemento, abusivismo edilizio, appalti illegali, traffico di rifiuti, commercio clandestino di opere d’arte, racket degli animali…) hanno generato – afferma Legambiente – , nell’anno appena trascorso, 24 miliardi e 600 milioni di fatturato. Tra le industrie nostrane un bilancio così, a dieci zeri, ce l’hanno solo grandi case come l’Eni o la Fiat, con la differenza da un anno all’altro l’Ecomafia ha registrato un fatturato di +30 punti percentuali, performance che non ha eguali in Italia.

Nel 2004 – aggiunge l’associazione ambientalista – i reati sono stati 25.469 (tre ogni ora), le persone denunciate sono cresciute del 10,4%. Il 49,1% degli illeciti si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. E crescono anche i clan dell’ecomafia: sono oggi 194, 25 in più rispetto al 2003.
"Tutti numeri, questi – conclude Ferrante – che da soli dovrebbero convincere la nostra classe dirigente dell’urgenza dei delitti contro l’ambiente nel nostro Codice Penale".


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