La relazione pubblicata oggi dalla Commissione europea dal titolo "L’occupazione in Europa" e evidenzia un aumento dell’occupazione di 4 milioni di posti nel 2006, la crescita maggiore a partire dal 2000, in conseguenza di una forte ripresa dei mercati del lavoro dell’UE. Questo miglioramento, però, deve essere accompagnato dallo sviluppo di politiche dell’occupazione e della formazione maggiormente integrate per accrescere la sicurezza dei lavoratori dell’UE, in un’economia globale in costante evoluzione.

La relazione esamina le tendenze strutturali del mercato del lavoro ed evidenzia ambiti prioritari, come ad esempio l’approccio del ciclo di vita applicato al lavoro e alla flessicurezza, in cui intervenire per migliorare i risultati socioeconomici negli Stati membri dell’UE.

Il Commissario responsabile per l’occupazione, gli affari sociali e le pari opportunità, Vladimir Spidla, ha espresso soddisfazione per gli sforzi realizzati in Europea in materia di politica dell’occupazione. "Rispetto a un anno fa – sottolinea Spidla – è cresciuto il numero dei cittadini europei che hanno un posto di lavoro. Ciò però non deve essere fonte di autocompiacimento se vogliamo che l’UE mantenga il suo impegno a raggiungere gli ambiziosi obiettivi in materia di occupazione che ci siamo fissati. Abbiamo potuto constatare – conclude il Commissario – che riforme dell’occupazione ben concepite funzionano e dobbiamo fare in modo di trarre insegnamenti dalle esperienze positive fatte in diversi Stati membri".

Grazie alle strategie di invecchiamento attivo, si è registrato in molti Paesi membri un aumento di circa 7 punti percentuali, dal 36% del 2000 al 43,6% del 2006, del tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni di età. E questo aumento si è accompagnato spesso a politiche attive più integrate, riguardanti la salute, la formazione, l’apprendimento permanente, la flessibilizzazione degli orari, nonché incentivi finanziari e norme efficaci in campo pensionistico. Gli esempi più validi li hanno forniti la Danimarca, la Finlandia e la Svezia.

Purtroppo l’altro lato della medaglia evidenzia il permanere di difficoltà a integrare efficacemente i giovani nel mercato del lavoro. Il tasso medio di disoccupazione giovanile rimane estremamente elevato (17,4% nel 2006) sia in termini assoluti sia rispetto ai valori relativi alle persone tra i 25 e i 54 anni di età. In un contesto internazionale, la maggior parte degli Stati membri dell’UE ha un numero significativamente maggiore di giovani disoccupati e un numero minore di occupati rispetto ad altri paesi industrializzati quali gli Stati Uniti, il Canada o il Giappone. Le cause principali di tali risultati insoddisfacenti sono un insufficiente livello di qualifiche, dovuto ad un alto tasso di abbandoni scolastici, e la segmentazione del mercato del lavoro che favorisce chi già lavora, discriminando chi vorrebbe entrare nel mondo lavorativo.

Le aziende introducono sempre di più forme flessibili di organizzazione del lavoro, ad esempio lavoro di squadra, rotazione delle mansioni, autonomia sul lavoro, orari flessibili. Le organizzazioni del lavoro che combinano mansioni più complesse con una maggiore autonomia sul lavoro tendono ad aumentare la soddisfazione sul lavoro e la produttività delle aziende nonché la loro capacità di innovare e finiscono quindi per offrire sia ai lavoratori che alle aziende soluzioni vantaggiose. Per aiutare i lavoratori ad adattarsi a condizioni in rapido mutamento è essenziale migliorare le prospettive di carriera, in particolare aprendo l’accesso a diverse forme di apprendimento permanente, assicurando così una valida offerta formativa in modo efficace ed equo. Politiche adeguate possono aiutare coloro che avvertono in modo particolare un deficit formativo e cioè gli anziani, chi ha un grado di educazione basso e chi ha un posto di lavoro scarsamente retribuito o precario.

Infine la relazione della Commissione evidenzia quali sono i fattori che hanno provocato, negli ultimi decenni, un calo della parte dei salari nel Pil di quasi tutti gli Stati membri dell’UE. E’ stato il progresso tecnologico a favorire questa tendenza, con conseguenze negative soprattutto per i lavoratori scarsamente qualificati.

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