Le denunce delle associazioni consumatori e le condanne dall’Autorità antitrust. Coinvolti tutti gli operatori.

Le clausole scritte in piccolo o non riportate affatto. L’uso improprio del termine gratis o gratuito. Ecco come difendersi.

Estate, tempo di saldi, di offerte promozionali e di pubblicità ingannevole. L’allarme scatta nel mondo dei cellulari: gli spot Tv in questi giorni sono un campo minato di offerte troppo belle per essere vere. E infatti spesso non lo sono. Lo dimostra la mole di denunce presentate dai consumatori e di condanne pronunciate, negli ultimi mesi, dall’autorità Antitrust. Non si salva nessun operatore di rete mobile; le condanne a loro carico, per pubblicità ingannevole, cadono a ritmo di una volta al mese.

È un fenomeno che cresce e che preoccupa, in Italia come in altri Paesi. "Anche se il totale delle denunce pervenute in materia pubblicità ingannevole e comparativa è diminuito, dalle 1.000 del 2003 alle 850 del 2004, quelle relative ad alcuni settori, tra cui quello delle telecomunicazioni, sono aumentate in numero", dicono, a Repubblica.it, dall’Antitrust. "È uno dei settori per i quali si sente il bisogno che gli operatori siano più corretti nel comunicare le proprie offerte". Sono sul piede di guerra i consumatori: le associazioni Cittadinanza attiva e Movimento a difesa del cittadino hanno denunciato a luglio la pubblicità di Vodafone che promette 600 euro di chiamate gratis. Due settimane fa, è partita anche la denuncia a Tre da parte di Adusbef e Federconsumatori, riguardo alla pubblicità dell’offerta Super Ricarica 9000.

È un fenomeno noto anche dall’altra parte dell’oceano. Nei giorni scorsi è arrivato a un punto di rottura negli Stati Uniti: il Dipartimento degli Affari dei Consumatori della città di New York ha annunciato di aver fatto causa ai principali provider di telefonia mobile Usa, Sprint, T-Mobile Usa e Nextel Communications. L’accusa di aver raggirato gli utenti con pubblicità ingannevoli, perché alcuni costi extra dei servizi apparivano in scritte troppo piccole e fuggevoli.

Messaggi scritti in piccolo
Ogni mondo è paese, insomma, perché quello delle scritte in piccolo che corrono come giaguari nella landa televisiva è un flagello anche dalle nostre parti. Sono celate lì informazioni preziose, per nulla secondarie; le sequenze dello spot si limitano invece a dare un’idea di massima dell’offerta e hanno soprattutto lo scopo di stupire e colpire lo spettatore. È così che a giugno è stata definita ingannevole la pubblicità Maxxi Ricarica di Tim, dal Giurì di Iap (Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria), il quale ha ordinato che fosse sospesa. Il bonus di cui parla la pubblicità ha limiti descritti troppo in fretta e con caratteri minuscoli, durante lo spot. Tim spiega il caso dicendo che si trattava di un errore dell’agenzia che ha confezionato la pubblicità e di averla sostituita già dalla settimana successiva con una versione che "riportava una nota in scorrimento perfettamente leggibile".

Tim difende il ricorso a scritte in sovrimpressione, che come tale non è una pratica censurata dall’Autorità. "È inevitabile utilizzarle quando si tratta di servizi telefonici, che hanno caratteristiche articolate e complesse. È ovvio che, per la natura e la breve durata dello spot televisivo, queste informazioni difficilmente possano essere rappresentate con immagini o mediante il parlato". Secondo la tesi di Tim, "uno spot di 30 o 40 secondi non può contenere in maniera incontestabilmente chiara tutti gli elementi utili a fornire una informazione completa ed esauriente. Tali elementi possono essere riportati in modo esplicito ed esaustivo sul web, in una pagina di giornale o ancora in un volantino. Questi mezzi servono proprio ad implementare la campagna Tv".

Quello che la pubblicità non dice
Ci sono casi, invece, in cui la pubblicità manca di informazioni essenziali, che quindi non sono nemmeno esposte in piccolo. Per tale motivo è stata definita ingannevole, il 6 luglio, dal Garante Antitrust la pubblicità di Vodafone Infinity: spot tv e cartelloni tacevano sul fatto che la l’offerta permetteva solo per cinque mesi (e non per sempre), di parlare gratis dopo il primo minuto. La pubblicità rinviava al sito di Vodafone per complementare le informazioni; là l’utente avrebbe appreso del limite temporale. Ma l’Autorità scrive che il rinvio al sito "non risulta sufficiente a compensare la predetta carenza informativa, in quanto tutte le informazioni che attenuano la portata dell’offerta pubblicizzata devono essere contestualmente fornite".

"Un consumatore che abbia maturato un errato presupposto sulla base di un messaggio pubblicitario, infatti, non necessariamente consulterà un’altra fonte informativa, permanendo, per tale motivo, nell’erroneo convincimento indotto dal messaggio". È una risposta che potrebbe confutare anche la tesi di Tim a difesa degli spot pubblicitari troppo parchi di informazioni essenziali.

Il 6 luglio l’Antitrust ha bastonato anche Wind: ingannevole la pubblicità di Noi 2, esposta in Tv, su carta e in Internet: conteneva un "per sempre" che poteva trarre in inganno i consumatori. Ce n’è anche per Tre: a marzo è stata definita ingannevole, dall’Antitrust, la pubblicità del Videotelefono Nec e616V, diffusa tramite cartoncino pieghevole: tra le caratteristiche del cellulare era elencato il supporto Bluetooth (connessione wireless); ma non si specificava che l’operatore aveva limitato questa funzione, per impedire agli utenti di scambiarsi file.

Attenti alla parola gratis
Un altro caso sono le pubblicità che fanno un uso "improprio e censurabile, dei termini ‘gratis’ o ‘gratuito’". Per esempio, una pubblicità diceva: chiamate gratis fino a 300 euro a chi aderisce a una certa offerta, "mentre in realtà, si trattava del rimborso del traffico telefonico fatto nell’arco di un mese, fino a 300 euro. Per l’Autorità i concetti di gratuità e di rimborso non possono essere considerati equivalenti". Sembra una sottigliezza, ma la differenza è enorme: la possibilità di avere un rimborso impegna l’utente a comprare nuovo credito per la propria scheda prepagata; le ricariche hanno costi di commissione che non fanno parte del credito disponibile e che quindi non sono rimborsabili dall’offerta. È spesso con queste astuzie, con omissioni studiate ad arte, che la pubblicità attira e inganna l’utente di rete mobile.

Strategie di difesa
Da questi casi si può trarre una lezione: non affidarsi solo alla pubblicità per decidere se comprare un prodotto o sottoscrivere un’offerta. Consultare altre fonti: almeno il sito dell’operatore in questione e testate giornalistiche specializzate. Basta per esempio scrivere il nome dell’offerta su Google News per trovare articoli che ne descrivano i punti deboli. Oppure, consultare i newsgroup per trovare i pareri di altri utenti, che abbiano già provato quell’offerta o prodotto.

C’è poi una speranza: che nei prossimi mesi i casi di pubblicità ingannevole diminuiscano, in virtù degli effetti della legge Giulietti, varata il 29 aprile 2005. Prima di questa data, l’Antitrust poteva solo ordinare che le pubblicità fossero sospese, se giudicate ingannevoli. La nuova legge invece gli permette di multare l’azienda, fino a 100.000 euro, "rendendo così più efficaci i rimedi dell’Autorità e accrescendo, a vantaggio dei consumatori, la capacità deterrente della legge", dice l’Antitrust. "In questa scia si inserisce anche la recentissima decisione dell’Autorità di costituire una direzione dedicata esclusivamente ai casi di pubblicità ingannevole e comparativa".

Le cause del fenomeno
L’Antitrust spiega a Repubblica.it anche i motivi per cui questo fenomeno colpisce così tanto la telefonia mobile, più di altri settori. Primo, "è un mercato sicuramente caratterizzato da una accentuata pluralità di offerte commerciali che si rinnovano
frequentemente"; secondo, "La ‘number portability’ (la possibilità di cambiare operatore conservando il proprio numero di cellulare) ha dato un ulteriore scossa accendendo la ‘creatività’ degli operatori nel contendersi la clientela esistente". Da questi due fattori derivano pubblicità a raffica e molto aggressive, che si sforzano a ogni costo di apparire più attraenti di quelle dei concorrenti. Tanto da risultare, in certi casi, ingannevoli. Un terzo fattore è che sono gli stessi operatori a sollecitare la frequenza delle condanne. Per colmo di aggressività, si denunciano a vicenda, all’Antitrust o allo Iap, per ostacolare le campagne pubblicitarie della concorrenza.

1 Agosto – www.repubblica.it


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