D. Il Ministero della Salute ha presentato l’"Osservatorio Nazionale delle dermatiti da contatto da prodotti di utilizzo nell’industria tessile" che ha l’obiettivo di eliminare o ridurre le sostanze pericolose presenti nei prodotti tessili. ; l’Osservatorio è uno strumento sufficiente?

R. Certamente l’istituzione dell’Osservatorio incontra un’esigenza del consumatore che chiede che le merci in circolazione siano rispondenti a determinati requisiti di qualità, dal punto di vista etico, della salute, della sicurezza ed ambientale. Le dermatiti da contatto, causate da tessuti che producono allergie o comunque irritanti, sono in aumento, anche se non se ne ha ancora un’esatta quantificazione. Ma quel che serve prima di tutto è una normativa sull’utilizzo e la circolazione sul mercato dei prodotto chimici. Purtroppo, molte sostanze chimiche sono usate nelle merci di grande consumo senza che si conoscano esattamente i loro effetti sulla salute dei consumatori. Questo problema esiste in Italia così come in tutti i paesi europei. E’ la ragione per la quale l’Unione Europea è impegnata con il regolamento REACH a rivedere la sua politica sui prodotti chimici per obbligare i fabbricanti e gli importatori a dimostrare che le loro sostanze possono essere utilizzate in tutta sicurezza prima di essere immesse sul mercato. I sindacati europei sono favorevoli a questa riforma poiché dovrebbe migliorare anche la protezione della salute dei lavoratori che utilizzano queste sostanze oltre che l’ambiente esterno.

D. Sono 60mila gli italiani che soffrono di dermatiti da tessuti causate da sostanze tossiche o allergiche contenute nel prodotto. Il fenomeno può trovare spiegazione nella massiccia importazione dei tessuti ed abiti da Paesi che non prevedono regole e controlli o ci sono problemi anche nei metodi di lavorazione e nei materiali impiegati in Italia?

R. Le norme oggi vigenti in Italia per l’utilizzo delle sostanze chimiche nel tessile e negli altri prodotti di consumo sono quelle definite in Europa. Come dicevo, questa legislazione non va bene per tutti i prodotti in circolazione, inclusi quindi quelli importati. Ora, se il REACH entrerà in vigore ad aprile 2007, il fabbricante straniero che vuole entrare nel mercato europeo dovrà conformarsi alle nuove norme europee. Voglio dire che queste norme saranno le stesse per tutti, fabbricanti europei e non.

D. Il fatturato dei prodotti tessili importati da paesi tessili in Italia dal 1997 al 2003 è passato da 3000 a 5000 milioni di euro. Quanti di questi prodotti sono lavorati dai bambini? Il lavoro minorile è in diminuzione nel mondo e dove sono le situazioni ancora più pesanti?

R. E’ impossibile dire con certezza quanti bambini lavorano nel settore dell’abbigliamento. E’ vero però che, nel mondo, i bambini lavorano soprattutto nell’economia informale, in piccole e piccolissime aziende. I settori manifatturieri, quindi, in cui multinazionali o imprese di dimensione nazionale si avvalgono di parti o materiali provenienti da piccoli laboratori o da lavoratori a domicilio, sono quelli in cui è possibile trovare dei bambini al lavoro. Comunque, anche guardando ai dati in circolazione, bisogna sapere che si tratta sempre di stime. Oggi l’Organizzazione Internazionale del Lavoro quantifica in oltre 350 milioni i minori dai 5 ai 17 anni al lavoro, in tutti i continenti. Percentualmente, l’Africa sub-sahariana ha la più alta percentuale, poiché le stime indicano che almeno un bambino su tre (avente meno di 15 anni) lavora.

D. Altromercato, con il progetto "Tessere il futuro", intende denunciare le disfunzioni dell’industria tessile tradizionale, secondo lei in che modo è possibile contribuire a migliorare le condizioni economiche dei Paesi del Sud del mondo e la qualità della vita dei lavoratori?

R. E’ evidente che le norme permissive esistenti nei paesi in via di sviluppo e le strategie industriali di delocalizzazione danneggiano enormemente i lavoratori del sud. Costoro sono sempre più vittime di un doppio dumping, sociale ed ambientale. La soluzione di fondo è quella di integrare le regole del commercio internazionale con delle norme sociali ed ambientali. Purtroppo siamo ancora molto lontani. I sindacati comunque possono esercitare forme di pressione sulle imprese perchè queste si assumano delle forme di responsabilità sociale, vale a dire perchè si facciano carico dei dovuti aspetti sociali ed ambientali nelle loro operazioni commerciali.

a cura di Norma Zito


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