Nell’ultimo quarto di secolo il consumo di vini di qualità classificati in Europa come VQPRD (DOC e DOCG per l’Italia) è aumentato del 54,6 per cento in Italia, del 51,4 per cento in Francia e dell’82,4 per cento in Spagna mentre contemporaneamente in questi stessi Paesi si è ridotto il consumo di vini da tavola del 49,9 per cento in Italia, del 52,2 per cento in Francia e del 49,6 per cento in Spagna. E’ quanto emerge da una analisi relativa agli andamenti nel periodo 1981-2004 presentata dall’INEA al Vinitaly nel corso dell’incontro promosso dal Coldiretti, Città del Vino e Symbola "Un Futuro di sfide".

Si tratta di un trend significativo che è accompagnato a livello globale – ha affermato il presidente dell’Inea Simone Vieri – da una decisa redistribuzione dei consumi e delle produzioni a livello mondiale che, negli ultimi 20 anni, hanno visto una perdita di peso dell’Europa (dal 77,6 al 68,4 per cento per i consumi e dal 79,1 al 70,6 per cento per la produzione) ed un avanzamento dei Paesi del continente americano (dal 18,8 al 20,2 per cento per i consumi e dal 15,4 al 16,1 per cento per la produzione) e di quelli dell’Asia e dell’Oceania, rispettivamente, per i consumi (dallo 0,2 al 6,7 per cento) e per le produzioni (dall’1,4 al 5,1 per cento).

In particolare – sottolineano Coldiretti, Symbola e Città del Vino – nello stesso arco di tempo si registra un calo dei consumi complessivi di vino del 28,3 per cento in Francia, del 38,9 per cento in Italia e del 29,4 per cento in Spagna mentre aumentano del 21,2 per cento in Usa, del 44,8 per cento in Australia e del 295,3 per cento in Cina. Al cambiamento del quadro di riferimento mondiale la vitivinicoltura nazionale ha risposto soprattutto sotto la spinta dello scandalo del metanolo avvenuto nel 1986 con una vera rivoluzione orientata a produrre "meno quantità e più qualità".

Secondo i dati elaborati dalle associazioni nel 2005 dopo venti anni la produzione nazionale di vino è stata pari al 48,1 milioni di ettolitri con una riduzione del 37,4 per cento rispetto al 1986 ma è raddoppiata quella di vini a denominazione (15 milioni di ettolitri con un +92 per cento) con oltre 460 vini Docg, Doc e Igt rispetto ai 228 di allora (+102 per cento). Un cambiamento che nonostante il calo nei consumi ha determinato una esplosione nel fatturato del settore che in venti anni è aumentato del 260 per cento raggiungendo nel 2005 la cifra record di 9 miliardi di euro e con l’Italia che è divenuta il primo esportatore mondiale di vino in valore, con il 25% del fatturato globale.

"L’evoluzione dei consumi sul mercato globale dimostra che c’è nel mondo una domanda di qualità e di territorio che la produzione di vino Made in Italy può soddisfare grazie alle enorme capacità che ha di esprimere una tradizione, una cultura, un ambiente unico", ha affermato il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni nel sottolineare la necessità di "rispondere alle domande dei consumatori che chiedono in misura crescente un prodotto ben identificato con marchi e produttori che ne garantiscono direttamente la qualità al giusto prezzo".

"I numeri dimostrano che negli ultimi vent’anni la base della qualità si è allargata – ha dichiarato Floriano Zambon, presidente delle Città del Vino – ma non è maturata una linea d’azione efficace e decisa per valorizzare il patrimonio delle nostre Doc e Docg. Le denominazioni d’origine rappresentano l’unico percorso per affermare in pieno l’importanza del legame vino-territorio. Si sente parlare di vini da tavola e Igt, vini prodotti sotto un regime di regole blando, ma sono le Doc e le Docg – ha ribadito Zambon – lo strumento dell’Italia per affermare l’identità e l’originalità dei vini. Oggi, a vent’anni dal metanolo, dobbiamo ricalibrare la nostra azione per competere meglio, ma dobbiamo farlo a partire dalle Doc".


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