Nel contesto di un licenziamento collettivo, il licenziamento di lavoratrici gestanti può avvenire solo in casi eccezionali, non connessi alla gravidanza e qualora non esista alcuna possibilità plausibile di riassegnarle ad un altro posto di lavoro adeguato. Lo ha stabilito l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea valutando il caso della società spagnola Bankia S.A. 

Il 13 novembre 2013 la Bankia ha inviato ad una delle sue dipendenti, che era all’epoca incinta, una lettera che le notificava la cessazione del suo contratto di lavoro in forza dell’accordo del comitato di negoziazione. La lettera di licenziamento indicava, in particolare, che nel caso specifico della provincia in cui essa lavorava era necessario un ampio adeguamento dell’organico e che nel processo di valutazione realizzato dall’impresa nel corso della fase di consultazione, il suo punteggio si collocava tra quelli più bassi della provincia.

La signora ha quindi presentato un ricorso contro il suo licenziamento davanti al Tribunale del lavoro che si è pronunciato a favore della Bankia. Essa ha proposto impugnazione davanti alla Corte superiore di giustizia della Catalogna che ha chiesto alla Corte di giustizia europea di interpretare il divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti, e, più in particolare, come interpretare tale divieto nel caso di una procedura di licenziamento collettivo.

Nelle sue conclusioni, la Corte Ue considera innanzitutto che la direttiva sulla maternità tutela le lavoratrici «nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità», sebbene queste possano non avere ancora informato il loro datore di lavoro del proprio stato. L’eccezione che consente il licenziamento di lavoratrici gestanti si applica solo in casi eccezionali non connessi alla gravidanza. D’altro canto, la direttiva sui licenziamenti collettivi disciplina i licenziamenti nelle procedure collettive e li definisce come «ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore».

Per quanto riguarda l’interazione tra le due disposizioni, l’avvocato generale ritiene che le condizioni che consentono di licenziare una lavoratrice gestante, ossia i «casi eccezionali non connessi al [suo] stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali» non devono essere interpretate come corrispondenti esattamente all’espressione «uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore». Nel contesto della direttiva sui licenziamenti collettivi esistono situazioni che sono effettivamente considerate eccezionali. Tuttavia, non ogni licenziamento collettivo è un «caso eccezionale» ai sensi della direttiva sulla maternità. Pertanto, spetta al giudice nazionale verificare se nel caso di specie il licenziamento collettivo si qualifichi come un «caso eccezionale», allo scopo di stabilire se si applichi l’eccezione al divieto di licenziamento.

L’avvocato generale considera inoltre che per potersi avvalere della deroga relativa ai «casi eccezionali» che consente il licenziamento di una lavoratrice gestante, non è sufficiente invocare motivi che incidono sul suo posto di lavoro nel caso di un licenziamento collettivo, o effettivamente al di fuori di detto contesto: non deve esistere inoltre alcuna possibilità plausibile di riassegnare la lavoratrice gestante ad un altro posto di lavoro adeguato.

L’avvocato generale chiarisce che «riassegnazione ad un altro posto di lavoro» non equivale a «permanenza nell’impresa». La riassegnazione ad un altro posto di lavoro è possibile se tale posto è vacante o se si può renderlo vacante trasferendo un altro lavoratore ad un altro posto e assegnando poi alla lavoratrice gestante il posto così liberatosi, mentre permanenza nell’impresa significa che, comunque sia, detta lavoratrice gestante resterà impiegata. A tale proposito, la direttiva sulla maternità non impone agli Stati membri di adottare disposizioni specifiche per accordare alle lavoratrici gestanti la permanenza prioritaria in un’impresa nel caso di un licenziamento collettivo. Se la direttiva sulla maternità è stata trasposta correttamente nel diritto interno, la legislazione nazionale che ne deriva dovrebbe di regola garantire che una lavoratrice gestante mantenga effettivamente il suo impiego nel caso di un licenziamento collettivo.

L’avvocato generale considera inoltre che la direttiva sulla maternità impone agli Stati membri di offrire alle lavoratrici gestanti sia una tutela contro il licenziamento di per sé (tutela preventiva) sia una tutela contro le conseguenze di un licenziamento vietato che è stato comunque effettuato (tutela riparatrice). In tale contesto, l’avvocato generale afferma che la normativa spagnola applicabile sembra prevedere che un licenziamento illegittimo sia «nullo di diritto». Pertanto, essa sembra prevedere una tutela riparatrice piuttosto che una tutela preventiva. Se ciò è corretto, la normativa spagnola non sembrerebbe soddisfare gli obblighi di cui alla direttiva.

Infine, l’avvocato generale giunge alla conclusione che, affinché un preavviso di licenziamento soddisfi i requisiti posti dalla direttiva sulla maternità, esso deve sia figurare per iscritto sia indicare giustificati motivi relativi ai casi eccezionali non connessi alla gravidanza che consentono il licenziamento. Nel contesto di un licenziamento collettivo, un preavviso di licenziamento che si limiti a fornire i motivi generali dei licenziamenti e i criteri di selezione, ma non spieghi perché sia consentito il licenziamento di una lavoratrice gestante in quanto le circostanze specifiche del licenziamento collettivo in questione lo rendono un «caso eccezionale», non soddisferà tale criterio.


Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!



Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella per confermare l'iscrizione
Privacy Policy

Parliamone ;-)