Politiche 2018, Amnesty: campagna elettorale fatta con linguaggio d’odio
Si chiude oggi una campagna elettorale “preoccupante, con molto linguaggio discriminatorio e d’odio”. Assenti i diritti umani, assente la politica estera, quello che rimane della campagna che porta alle elezioni politiche è un linguaggio pesante, discriminatorio e xenofobo destinato forse a proseguire anche oltre. La denuncia è di Amnesty International Italia, che ha deciso di misurare questo tipo di linguaggio attraverso un “barometro dell’odio”, un monitoraggio dei discorsi, delle dichiarazioni e dei commenti postati sui profili social ufficiali da un campione rappresentativo di candidati alle elezioni per verificare il livello d’odio nel discorso politico, l’uso di stereotipi, di espressioni offensive, razziste, d’incitamento alla violenza e l’utilizzo della narrativa del “noi contro loro” nei confronti di migranti, rom, persone Lgbti, donne, comunità ebraiche e islamiche. I risultati del monitoraggio saranno diffusi a urne chiuse.
Oggi però arriva una prima valutazione generale, niente affatto positiva. Sostiene Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia: “Si è conclusa una campagna elettorale deludente e preoccupante: assenti o quasi le questioni riguardanti i diritti umani e il ruolo che l’Italia potrebbe avere per proteggerli a livello internazionale, pronunciate a malapena parole come Siria o Yemen. Presente, dominante, inquietante invece è stato l’uso di un linguaggio discriminatorio, xenofobo, misogino, a volte vero e proprio discorso d’odio. Temiamo che non terminerà con la fine della campagna elettorale”.
“Quel linguaggio lo abbiamo misurato attraverso il nostro barometro dell’odio, che termina a sua volta oggi le attività di monitoraggio sui leader dei principali partiti in competizione, sui candidati ai collegi uninominali delle coalizioni di Centrosinistra, Centrodestra, del Movimento 5 Stelle e di Liberi e uguali e sui candidati presidenti delle regioni Lazio e Lombardia – spiega ancora Marchesi – Questo monitoraggio, discusso in un recente incontro con una delegazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e di cui renderemo pubblici i risultati definitivi a urne chiuse, ci ha confermato come persino chi compete per avere incarichi istituzionali talvolta non si astenga dall’uso di un linguaggio incendiario, che divide anziché unire, che discrimina anziché promuovere l’eguaglianza, che pensa che i migranti siano una minaccia e che i diritti non spettino a tutti”.