C’è “un piano di riorganizzazione dell’informazione” che può prevedere la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche nel nuovo schema di concessione decennale fra la Rai e lo Stato approvato venerdì dal Consiglio dei Ministri. “Dopo 22 anni approvata la nuova concessione Stato-#Rai. Una occasione per rilanciare il servizio pubblico”, ha twittato venerdì scorso il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Ora il testo passerà all’esame della Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi, che avrà trenta giorni di tempo per esprimere il suo parere.

Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli ha parlato dell’approvazione come di un “passo molto importante”: “Alla Rai è chiesto un nuovo piano editoriale con la riforma dell’informazione, più sostegno alle produzioni italiane e alla loro valorizzazione internazionale, una razionalizzazione necessaria di reti e canali, produzioni e programmi in lingua inglese e per tutte le piattaforme”.

raiVenerdì il l Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, ha dunque deliberato – si legge nella nota ufficiale di Palazzo Chigi – “la concessione in esclusiva alla RAI, per una durata decennale, dell’esercizio del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale sul territorio nazionale e ha approvato l’annesso schema di convenzione, recante le condizioni e le modalità di tale esercizio, che sarà successivamente stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e la società concessionaria”.

“Si tratta di un testo fortemente innovativo sotto molteplici aspetti a cominciare dalla previsione di un nuovo piano editoriale e caratterizzato dalla separazione delle attività di servizio pubblico rispetto a quelle di mercato – ha detto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda – Il nuovo modello concessorio permetterà di realizzare un uso più efficiente delle risorse, un miglioramento del servizio e la razionalizzazione degli assetti industriali e finanziari.” In particolare, si stabilisce che la concessione ha durata decennale e che il contratto di servizio sarà stipulato ogni 5 anni e potrà definire durata e ambito dei diritti di sfruttamento radiofonico e televisivo negoziabili dalla società concessionaria.

La concessione comprende la diffusione dei programmi tramite digitale terrestre e tutte le altre piattaforme distributive. L’azione della Rai, spiega il Mise, “deve rigorosamente rispettare principi di completezza, obiettività, indipendenza, imparzialità e pluralismo, promuovendo le pari opportunità tra uomini e donne e assicurando  il rigoroso rispetto della dignità della persona, nonché della deontologia professionale dei giornalisti”. Per la prima volta nel nuovo testo si fa riferimento al “servizio pubblico multimediale” e si stabiliscono alcuni principi quali: “la richiesta alla società concessionaria di realizzare un piano editoriale coerente con la missione e gli obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo  che può prevedere  la rimodulazione del numero dei canali non generalisti con l’obiettivo di perseguire efficientamento, riduzione dei costi, valorizzazione delle risorse interne”; “la previsione della necessità di garantire un uso più efficiente delle risorse, attraverso un piano di riorganizzazione dell’informazione che può prevedere anche la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche ed il rispetto del divieto assoluto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni”.

Per quanto riguarda il canone, Agcom e Ministero dovranno verificare la realizzazione degli obiettivi indicati dal contratto nazionale di servizio, l’attuazione del piano editoriale, il rispetto delle norme in materia di affollamento pubblicitario e la distribuzione fra i canali dei messaggi pubblicitari. Il bilancio dovrà prevedere una contabilità separata per i ricavi del canone rispetto a quelli delle attività svolte in regime di concorrenza e il divieto alla società società concessionaria di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo.


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