
Forum ANIA-Consumatori: welfare in crisi
Una sfiducia diffusa. E’ questo il dato principale che emerge dalla seconda indagine sulle prospettive del welfare realizzata dal Censis per il Forum ANIA-Consumatori, la fondazione promossa dall’ANIA che ha l’obiettivo di facilitare e rendere ancor più costruttivo e sistematico il dialogo tra le imprese di assicurazione e i rappresentanti dei consumatori.
Se nel primo rapporto – come ha evidenziato Francesco Maietta, Censis – è emersa l’immagine di un welfare che ha tenuto bene grazie agli ammortizzatori sociali, in questa seconda indagine ci troviamo di fronte ad un welfare esso stesso in crisi perché è cambiato innanzitutto il clima, la crisi è entrata nei bilanci famialiari. Di conseguenza è cambiato anche il rapporto dei cittadini con il welfare.
Ciò che è emerso, in primo luogo, è che gli italiani hanno una percezione non proprio positiva del welfare: il 63% ritiene che non offre una buona copertura per i diversi rischi, per il 75% non riesce a contenere le diseguaglianze sociali, per il 78,9% costa troppo al bilancio pubblico. Cosa fanno allora gli italiani per tutelarsi dai rischi e dagli eventi imprevisti? Si affidano – secondo l’indagine – a forma di autotutela: l’80,4% di assumere comportamenti molto cauti (ad esempio adottando stili di vita salutari, oppure facendo controlli medici periodici), il 76% confida nella capacità di adattamento della famiglia, altri ritengono opportuno l’utilizzo di strumenti specifici come le polizze danni (32,3%), le polizze vita o i fondi pensione (30,4%). Già ora le forme di autotutela privata raggiungono un valore di quasi 28 miliardi di euro annui per la spesa sanitaria privata (+2,3% nel periodo 2008-2011) e di circa 11 miliardi di euro per l’assistenza privata per anziani e non autosufficienti. Anche il welfare integrativo può rappresentare una soluzione ma dipende dalla disponibilità economica.
A fronte di questo sistema sempre più inadeguato e oneroso, oltre il 54% dei cittadini parla apertamente e con grande pragmatismo della necessità di razionalizzare il welfare pubblico, selezionando i servizi e gli interventi necessari alla popolazione e tagliando il resto. Per l’86% è necessario far pagare il welfare in relazione al reddito delle persone che lo utilizzano. In questo quadro generale, si aggrava l’asimmetria tra la copertura di welfare e i bisogni di alcuni specifici gruppi sociali.
L’indagine del Censis si è soffermata poi su tre zone d’ombra della protezione sociale. In altre parole, la crisi ha esasperato i punti di debolezza del welfare: non autosufficienti, immigrati e giovani. Il paese invecchia e di conseguenza cresce il numero di persone non autosufficienti. Paradigmatica della inadeguatezza del nostro sistema sociale è la condizione degli anziani non autosufficienti che, secondo stime del Censis, ammontano attualmente a 2,2 milioni, il 3,9% del totale della popolazione italiana. In Italia è ampiamente diffuso un modello di assistenza familiare, tanto che i familiari stretti rappresentano i caregiver nel 73,5% dei casi. Il problema è che quasi in un caso su tre (il 29,3%) il carico assistenziale viene assorbito interamente dalla famiglia dell’anziano. Per questo motivo, gran parte degli italiani sottolinea l’importanza del potenziamento dei servizi di assistenza: il 43,8% indica l’assistenza domiciliare, il 34,1% richiede soluzioni di sostegno economico diretto alle famiglie. La maggioranza degli italiani è ormai convinta che per affrontare la non autosufficienza dovrà contare solo sulle sue forze, perché i costi sono alti e la copertura pubblica scarsa: risparmiando, integrando l’assistenza pubblica con l’acquisto di servizi privati, oppure assicurandosi contro la non autosufficienza. Solo il 15,2% ritiene sufficienti gli attuali servizi pubblici.
Poi ci sono gli immigrati che vivono in Italia con l’ambizione di migliorare il proprio status economico, mettere radici costruendo casa, fornire una buona istruzione ai propri figli. Sono ottimisti sulle loro chance di integrazione, visto che quasi il 79% pensa che nel mondo del lavoro i più bravi non rimarranno confinati in lavori umili e a basso reddito, mentre il 53,2% ritiene che i più abili emergeranno nell’imprenditoria. Considerando i servizi di welfare cui si accede tramite lo strumento Isee, i migranti richiedono più asili nido e scuola (richiesti dal 44,8% di famiglie migranti contro il 30,3% di quelle italiane), mentre le famiglie italiane si concentrano molto di più su servizi socio-sanitari (il 28,4% di quelle italiane, il 18% tra i migranti). Dall’indagine emerge un rischio di competizione, visto che il 48% degli italiani pensa che i migranti prendano più di quello che danno nel welfare e solo il 16% ritiene che diano più di quel che ricevano in cambio.
Infine i giovani che si trovano nell’impossibilità materiale di diventare indipendenti. E’ così che diventano ‘bamboccioni per forza’: sono oltre 6,9 milioni (il 52,9%) i giovani di 18-34 anni che vivono con almeno un genitore, mentre i “Neet” sono 3,2 milioni, il 23,9% della popolazione con età compresa tra 15 e 34 anni. Per questa categoria, risulta dominante il problema del lavoro e delle relative difficoltà ad accedere a questo mercato. Il 60% degli intervistati pensa che sia ingiusto pagare meno o dare meno tutele ai giovani che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro. Tuttavia, quasi il 92% ritiene che per i giovani sia opportuno prendere il primo lavoro che capita anche se a basso reddito o non adeguato al titolo di studio, pur di entrare in gioco. Non a caso, riguardo gli interventi per i quali sarebbe importante migliorare il welfare attuale con nuovi strumenti monetari (come sussidi, servizi, ecc.) oltre il 37% dei giovani richiama la precarietà del lavoro, il 29,2% la perdita dell’occupazione e il 33,6% la disoccupazione di lunga durata.
Quel che è emerso con chiarezza e che ha anche animato la tavola rotonda che è seguita alla presentazione del rapporto è che il prezzo che attualemte l’Italia paga per il welfare è diventato insostenibile ed occorre, pertanto, trovare una nuova via di finanziamento. Secondo Alberto Antonio Capraro, Amministratore Cooperativa Officine Cantelmo, “il welfare non deve essere azzerato ma riqualificato: occorre che lo Stato individui nuove priorità”. La vice presidente di ANIA, Maria Bianca Farina, non ha dubbi quando sostiene che attualmente “non si può prescindere da forme di welfare aziendale e assicurativo. Il primo costruirebbe un sicuro beneficio per tutti, datori di lavoro e dipendenti, mentre il welfare assicurativo consentirebbe alle compagnie di valorizzare i prodotti di cui dispongono”. Antonio Longo, presidente del Movimento Difesa del Cittadino, infine, sostiene che il “nuovo welfare deve avere il suo perno centrale nel ruolo delle famiglie che devono, però, essere aiutate sul piano fiscale”.
Di Valentina Corvino
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