
Garante Privacy: no al diritto all’oblio per casi giudiziari gravi
Non si può invocare il diritto all’oblio per casi giudiziari particolarmente gravi e per i quali c’è “l’interesse ancora vivo ed attuale dell’opinione pubblica”. Così il Garante per la Privacy ha dichiarato infondata la richiesta di deindicizzazione di alcuni articoli presentata da un ex consigliere comunale coinvolto in un’indagine per corruzione e truffa. Nel caso di vicende giudiziarie particolarmente rilevanti, il cui iter processuale si è concluso da poco, prevale infatti l’interesse pubblico a conoscere le notizie.
Così l’Autorità che si è espressa in una vicenda collegata a una serie di scandali che hanno riguardato la sanità regionale. La richiesta di deindicizzazione degli articoli era stata presentata appunto da un ex consigliere comunale coinvolto in una vicenda iniziata nel 2006 e che si era chiusa nel 2012 con una sentenza di patteggiamento e pena interamente coperta da indulto. Di fronte al no di Google di accogliere le sue richieste di deindicizzazione, l’ex consigliere – si legge nell’odierna newsletter del Garante Privacy – ha presentato un ricorso al Garante chiedendo la rimozione di alcuni url che risultavano digitando il suo nome e cognome nel motore di ricerca e che facevano riaffiorare l’indagine in cui era rimasto coinvolto. A suo dire, non ricoprendo più incarichi pubblici e operando in un settore privato, la permanenza in rete di notizie, risalenti a circa dieci anni prima e ormai prive di interesse gli avrebbero arrecato un danno all’immagine, alla vita privata e all’attuale attività lavorativa.
Il Garante ha però rigettato la richiesta: sebbene il trascorrere del tempo sia la componente essenziale del diritto all’oblio, ha rilevato l ‘Autorità, questo elemento incontra un limite quando le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione siano riferite a reati gravi e che hanno destato un forte allarme sociale. Le richieste vanno quindi valutate con minor favore, anche se devono essere analizzate caso per caso. Ed è proprio questo il caso esaminato: è trascorso un certo lasso di tempo dai fatti riportati negli articoli ma la vicenda giudiziaria si è definita solo nel 2012. I fatti narrati dagli articoli, scrive poi l’Autorità nel suo provvedimento0, “riguardano crimini di particolare gravità, posto che si riferiscono al coinvolgimento del ricorrente, in associazione delittuosa con altri e con ruolo non da comprimario, in reati contro la Pubblica amministrazione, quali la corruzione e la truffa, perpetrati a danno della sanità regionale negli anni 2004-2006, mediante l’illecita sottrazione di ingenti risorse finanziarie pubbliche”.
Il Garante ha poi rilevato che alcuni url riattualizzavano la notizia richiamandola in articoli relativi ad una maxi inchiesta sulla corruzione pubblicati fino al 2015. “La relativa attualità di alcuni Url dimostra l’interesse ancora vivo ed attuale dell’opinione pubblica nei confronti degli scandali che hanno interessato la sanità regionale negli ultimi anni, anche in considerazione della grave situazione finanziaria in cui la stessa versa attualmente”, ha concluso il Garante per la Privacy. Ricorso dunque infondato.

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