Una volta veniva raccontata la differenza fra “reale” e “virtuale”. Ma questa differenza ha ancora ragione di esistere, o non è piuttosto superata dalla considerazione che il virtuale – inteso in generale come tutto ciò che passa online – sia in realtà del tutto parte della vita reale? Le interazioni virtuali sono ormai sempre più frequenti e servono a prendere decisioni concrete nella vita di tutti i giorni: ci sono videochiamate via smartphone, chat su WhatsApp o sui social network, videoconferenze di lavoro, possibilità di esplorare città attraverso i servizi di Google Street View. La domanda è dunque: questo tipo di interazioni ha lo stesso valore dei rapporti di persona?
GfK-Infographic-Virtual-interactions_lowA cercare una risposta è stata una ricerca condotta da GfK su 27 mila persone di 22 diversi paesi. Il risultato principale è che circa un quarto degli intervistati (23%) ha dichiarato di essere convinto che le interazioni virtuali siano valide quanto quelle di persona. In Italia la percentuale è leggermente più bassa della media ma copre comunque un quinto degli intervistati. Secondo l’indagine online realizzata da GfK, a livello italiano il 20% degli intervistati si dichiara d’accordo con l’affermazione secondo la quale le interazioni virtuali valgono tanto quanto le interazioni reali (il 19% si dichiara invece in disaccordo). Le donne sembrano essere le più aperte nei confronti di questo tema, con il 25% di risposte favorevoli, contro il 16% registrato dagli uomini.
Pesa anche l’età degli intervistati: i più positivi sono gli over 30, gli adolescenti e i giovani. Nel dettaglio, la maggior parte di risposte favorevoli si ha fra gli intervistati appartenenti alla fascia d’età 30-39 anni (27% di risposte favorevoli), seguiti quasi a pari merito dalle fasce 15-19 anni (21%) e 20-29 anni (20%). Tra le persone con più di 60 anni, al contrario, solo il 14% degli intervistati pensa che interagire a distanza utilizzando dispositivi tecnologici abbia lo stesso valore di conoscere qualcuno o qualcosa di persona.
“I risultati di questa indagine hanno risvolti interessanti per quasi tutte le aziende – spiega GfK – Conoscere il grado di apertura nei confronti delle interazioni virtuali dei diversi mercati e dei diversi segmenti di consumatori è un elemento fondamentale nel momento in cui si prendono delle decisioni che hanno a che fare con l’interazione a distanza. Questo può succedere, ad esempio, quando si deve decidere se utilizzare la realtà aumentata a fini promozionali, oppure se organizzare una riunione in videoconferenza per ridurre i costi di viaggio”.
A livello internazionale, la percentuale di chi considera le interazioni virtuali pari a quello reale continua a essere più alta nelle due fasce d’età dai 20 ai 39 anni e dagli adolescenti, e comprensibilmente più bassa man mano che l’età sale – solo l’11% degli over 60 è infatti d’accordo. Interessante la classifica per nazioni: Brasile e Turchia sono al primo posto fra le nazioni più aperte nei confronti del virtuale, con circa un terzo (34%) dei consumatori convinto che le interazioni virtuali possano essere tanto valide quanto quelle di persona. Seguono a breve distanza Messico (28%), Cina (27%) e Russia (24%) All’estremo opposto della classifica si trova la Germania, con quasi un terzo delle persone (32%) che si dichiara in disaccordo con l’equiparazione reale-virtuale nell’ambito delle interazioni umane. Seguono la Svezia al 29%, quindi Repubblica Ceca e Belgio con poco più di un quarto (26%) e Paesi Bassi e Regno Unito con circa il 23%.

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