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Pediatri in pandemia, il caso

I pediatri in pandemia. Tema delicato, che tocca da vicino la salute dei minori. Da una parte ci sono le difficoltà a volte denunciate dalle famiglie di fronte alla difficoltà di fare una visita medica in pandemia e alla pratica del triage telefonico. Dall’altra c’è il carico di lavoro e di assistenza cui hanno risposto i pediatri stessi dallo scoppio del coronavirus.

Facile scadere nella semplificazione: quello del pediatra che non visita più e quella opposta del pediatra eroe che visita a suo rischio e pericolo. Cosa è accaduto con i pediatri in pandemia? E soprattutto, cosa dicono le famiglie?

 

donna con bambini

 

Moige: “I pediatri non visitano più i nostri figli”

A sollevare il tema è il Moige, Movimento Italiano Genitori, che nei giorni scorsi ha pubblicato una nota molto critica dal titolo: “I pediatri non visitano più i nostri figli”. La sigla vuole farsi portavoce delle segnalazioni di “tanti genitori” sulla «difficoltà di eseguire visite mediche con i pediatri di riferimento – quelli operanti nel settore pubblico – e di conseguenza sul rischio evidente per il diritto alla salute dei minori che deriva da tale situazione, conseguenza della pandemia Covid-19».

L’accusa è pesante e in sintesi è questa: con la pandemia fare visite pediatriche è diventato difficile ed è a rischio la prevenzione. Anche se il Moige poi smorza un po’ i toni e dice che non vuole sminuire il lavoro dei pediatri che stanno lavorando in condizioni difficili.

«In molti casi – scrive il Moige – è difficile prenotare e/o sostenere una visita pediatrica, e non basta il consulto a distanza o la consulenza in smart working. Non è difficile però immaginare quali conseguenze possono originare da una situazione del genere: questa rarefazione delle visite di controllo, l’annacquamento sostanziale del meccanismo di prevenzione che permette di intercettare in anticipo patologie e disturbi di ogni tipo nei bambini, rappresentano elementi chiari. Senza dire dello sforzo economico aggiuntivo richiesto ai genitori, chiamati a rivolgersi a operatori privati. Quanto riportato non sminuisce certo l’operato dei tanti pediatri che stanno operando, in condizioni difficilissime e in tutta Italia, per la tutela e la sicurezza dei bambini. Nessuno, ovviamente, intende sminuire questo sforzo. Ma anzi, al contrario, proprio per omaggiare il loro impegno è necessario che le istituzioni sanitarie restino vigili, garantendo la tutela del diritto alla salute dei minori, anche procedendo con un piano straordinario di recupero di visite ed esami andati perduti».

SIPPS: “I pediatri hanno lavorato molto di più con la pandemia”

Inevitabile la reazione dei pediatri, che denunciano da parte loro “luoghi comuni” in quanto affermato dal Moige, un carico di lavoro molto superiore in pandemia, e un triage telefonico frutto di protocolli istituzionali.

«I pediatri hanno lavorato molto di più con la pandemia, per garantire alle famiglie un’attività ambulatoriale costante e una reperibilità continua – ha detto Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) – Definire ‘smart working’ il nostro lavoro fa male, perché tanti colleghi pediatri hanno perso la vita in questo anno e mezzo, deceduti per Covid». Questa la replica all’accusa del Moige.

Prosegue Di Mauro: «la critica del Moige non solo è gratuita, ma pesca nel grande pantano dei luoghi comuni. Non è accettabile che, anche in questa situazione grave e complicata, qualcuno pensi di ridurre il rapporto medico-paziente ad un battibecco».

La SIPPS rivendica la bontà dell’assistenza sanitaria pediatrica italiana (“è tra le migliori al mondo”) e denuncia le difficoltà dei pediatri di fronte a “richieste inappropriate” e “comportamenti irresponsabili”, laddove tutti devono avere garanzie di accesso in sicurezza, a partire da lattanti e bambini fragili.

«È quanto meno sconcertante, quindi, che un bambino con sintomi di sospetto Covid non faccia il tampone e venga visitato ‘da un pediatra privato’. Possibile? E come? In incognito? In clandestinità? Non viene segnalato il caso al Dipartimento di Prevenzione? Non viene richiesto il tampone, come è previsto dalla legge?- domanda ancora Di Mauro- È sconcertante che ci sia chi pretende delle eccezioni alle regole che devono essere seguite a tutela di tutti».

Tamponi e triage telefonico

«Ogni pediatra sa quali sintomi impongono il tampone e quali, invece, possono essere gestiti come al solito. Tutti i genitori- afferma il presidente della SIPPS- devono essere consapevoli, soprattutto con l’inizio del nuovo anno scolastico, che quarantene e tamponi fanno ormai parte della nostra routine, in particolare per le nuove varianti (molti pazienti affetti dalla variante delta presentano, tra l’altro, proprio il raffreddore), ma i tamponi, le quarantene, insieme alle vaccinazioni, sono anche ciò che ci fa stare in sicurezza e ci consente di garantire ai nostri bambini di continuare le attività normali per la loro età anche nel pieno di una epidemia».

I pediatri spiegano poi che il carico di lavoro è aumentato con visite ambulatoriali, messaggistica e triage telefonico. E che quest’ultimo è decretato da legge dello Stato e da circolare del Ministero della Salute di marzo 2020.

«Il triage telefonico aiuta infatti a capire, di fronte ai sintomi comunicati dai genitori per telefono, se quel bambino ha necessità di essere visitato urgentemente, avviato in urgenza al Pronto Soccorso, se deve essere visitato in giornata o se i consigli telefonici risultino sufficienti rispetto alle sintomatologie presentate dal piccolo assistito. Non sostituisce, ma aiuta a selezionare le visite».


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