Alluvione in Emilia-Romagna e Marche, Legambiente: “Italia fragile e impreparata” (Foto di Hermann Traub da Pixabay)

Alluvione in Emilia-Romagna e Marche, Legambiente: “Italia fragile e impreparata”

L’alluvione in Emilia-Romagna e nelle Marche dimostra che l’Italia è fragile e impreparata davanti alla crisi climatica, ricorda Legambiente. Che chiede una serie di azioni fra cui l’approvazione del piano di adattamento al clima e la legge sullo stop al consumo di suolo

L’alluvione in Emilia-Romagna e nelle Marche dimostra che l’Italia è ancora una volta “fragile e impreparata di fronte alla crisi climatica”. In Italia ci sono 6,8 milioni di cittadini a rischio alluvione ma “negli ultimi 20 anni – dice Legambiente – è mancata una seria politica di governo del territorio e i 10,6 miliardi di euro per la prevenzione sono stati spesi in modo inefficace”.

L’alluvione di questi giorni è violenta, devasta il territorio, fa vittime. “Quello a cui stiamo assistendo è l’altra faccia della crisi climatica che si ripercuote sui territori con eventi estremi sempre più intensi, con rischi per la vita delle persone e impatti sull’ambiente e sull’economia – prosegue Legambiente – E l’Italia ancora una volta si dimostra impreparata di fronte alla crisi climatica e agli eventi estremi”.

«Negli ultimi decenni è mancata in Italia – dice il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafaniuna seria politica di governo del territorio, troppo spesso spezzettata e scoordinata, e le risorse stanziate in questi anni per la prevenzione, oltre 10 miliardi, sono stati spesi in modo inefficace. Il rafforzamento della governance del territorio rappresenta un primo passo fondamentale per non esporre al rischio la popolazione, ma soprattutto per garantire quella capacità di adattarsi meglio al verificarsi dei prossimi eventi estremi. Le immagini dell’alluvione che sta colpendo Emilia-Romagna e Marche ci ricordano l’urgenza di intervenire per tempo».

Alluvione, appello per le azioni da fare

Legambiente lancia oggi un appello al Governo indicando i 5 interventi da mettere in campo e e al centro di una chiara ed efficace strategia di prevenzione: “Si approvi il piano di adattamento al clima, ancora in standby dopo la fase di VAS; si trovino le risorse economiche per attuarlo; si rafforzi il ruolo delle autorità di distretto; si programmino politiche territoriali di prevenzione e campagne informative di convivenza con il rischio; si approvi una legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese attende da 11 anni”.

La legge sullo stop al consumo di suolo, ad esempio, è attesa da anni. L’iter legislativo è iniziato nel 2012 ma la proposta di legge è bloccata in Parlamento dal 2016, quando venne approvata dalla Camera dei deputati, prevedendo di arrivare a quota zero, cioè a non cementificare un metro quadro in più, entro il 2050.

Un altro aspetto richiamato nel caso di eventi estremi è quello di avere efficaci politiche territoriali di prevenzione e “campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone”.

Frane e alluvioni in Italia

L’adattamento alla crisi climatica, la gestione del territorio, la prevenzione, la tutela del suolo e la convivenza con il rischio sono azioni che vanno tutte insieme, tanto più in un paese, come l’Italia, di sicuro fragile. Secondo dati Ispra, l’8,7% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata e molto elevata; il 15,4% invece è classificato a pericolosità media ed elevata alle alluvioni. Sono 6,8 milioni i cittadini a rischio alluvione e 1,3 milioni quelli a rischio frana.

«Nel nostro Paese – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – il rischio idrogeologico è noto, mappato e ci sono le conoscenze giuste per intervenire ma continua a non essere affrontato e gestito in maniera adeguata, anche in quelle aree in cui eventi analoghi si sono già verificati come ad esempio le Marche colpite violentemente anche lo scorso settembre e negli anni passati. Inoltre, bisogna considerare che i terreni si sono inariditi e induriti dopo mesi di siccità, e questo fattore li ha resi meno permeabili ad assorbire una parte delle precipitazioni che si sono riversate in questi giorni. I due fenomeni vanno trattati in maniera integrata per poter sviluppare soluzioni efficaci. Servono anche più politiche territoriali di prevenzione e campagne informative sulla convivenza con il rischio per evitare azioni che mettono a repentaglio la vita dei cittadini».

La prevenzione poco efficace

Legambiente propone anche una valutazione sulla prevenzione e sui fondi spesi. Secondo i dati forniti dalla piattaforma Rendis di Ispra, a livello nazionale in Italia dal 1999 al 2022 sono stati spesi per la prevenzione del rischio idrogeologico 10,57 miliardi di euro per finanziare 11.204 progetti e opere per mitigare il rischio. Di questi ultimi, il 43% sono state opere terminate. Ha funzionato?

Per l’associazione a fronte di un investimento di oltre 10 miliardi di euro e quasi 5mila opere realizzate a livello nazionale, il rischio nel territorio non è diminuito e le risorse sono state spese in modo poco efficace. Tre i motivi indicati da Legambiente: le opere sono state meno efficaci rispetto a quanto previsto anche perché in molti casi si trattava di interventi difensivi, che hanno provato a risolvere solo il problema locale, infrastrutturali (dunque hanno ingessato ancor più il territorio); il cambiamento climatico sta alterando la distribuzione delle piogge e questo sta incidendo molto sugli effetti che tali variazioni hanno sul suolo; è mancata una seria politica di governance del territorio, a partire dall’azzeramento del consumo di suolo.


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