I diritti umani in Italia sono spesso messi in secondo piano dalle istituzioni stesse che guardano all’argomento soltanto quando c’è un’emergenza. Si parla di diritti umani quando è in arrivo un’onda “anomala” di migranti, quando ci sono casi eclatanti di femminicidio o di discriminazione, quando qualche politico si occupa delle carceri affollate. Per il resto dell’anno sembra quasi che il nostro Paese non si curi di un argomento che riguarda tutti noi e che dovrebbe essere alla base di ogni Stato democratico, che si ritenga avanzato. Purtroppo l’Italia resta sempre un po’ indietro: resta indietro sulla libertà di informazione (e lo dicono ogni anno le classifiche internazionali), resta indietro sulle politiche di immigrazione, su quelle di welfare, sui servizi sociali e sul lavoro.
Come si fa, ad esempio, a parlare di lavoro se non lo si considera nella sua natura di diritto umano? Eppure al lavoro si collegano tutta una serie di principi fondamentali di ogni uomo a partire dalla dignità e libertà. Infatti quest’anno, per la prima volta, il Presidente della Repubblica Italiana ha partecipato alla Conferenza Internazionale del Lavoro, sottolineando proprio i valori umani ad esso collegati.
Di questo e di tanto altro si è parlato oggi in occasione della conferenza “L’Italia e i diritti umani: a che punto siamo?” che si è tenuta oggi a Roma presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.  Durante la conferenza stato presentato il secondo rapporto di monitoraggio della Revisione Periodica Universale (UPR) del Consiglio Onu per i diritti umani, curato dalle Ong e associazioni del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani.
Andiamo con ordine. Innanzitutto bisogna ricordare che l’UPR è un meccanismo di revisione periodica della situazione dei diritti umani di tutti i 192 paesi membri delle Nazioni Unite E’ uno strumento con un grande potenziale di promozione e protezione dei diritti umani anche “negli angoli più bui del mondo”, (così lo ha definito il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon). Nell’ambito del primo ciclo di Revisione Periodica Universale, il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha rivolto alcune raccomandazioni all’Italia tra cui ce n’è una che riguarda un’anomalia tutta nostra: non abbiamo ancora  un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani.
Eppure c’è un disegno di legge, che si trascina dal 2002 e che ha da poco ottenuto il via libera dal Senato e attende quello definitivo dalla Camera, che ne prevede la creazione, come richiesto dalle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1993 e del Consiglio d’Europa del 1997 e dei Principi di Parigi. Basterebbe forse già questo a coordinare tutto il lavoro di monitoraggio e di supporto che fanno moltissime associazioni (con pochissime risorse).
C’è chi si occupa della libertà di informazione, su cui l’Italia viene più volte richiamata. “E’ un fatto anomalo per una democrazia occidentale come l’Italia quello di aver ricevuto ben 5 raccomandazioni a proposito dell’indipendenza del servizio pubblico di informazione, del conflitto di interessi e della sicurezza dei giornalisti – ha precisato Tana De Zuleta di Articolo 21 – Siamo l’unico Paese Ocse dove numerosi giornalisti devono vivere sotto scorta per aver denunciato alcuni affari della criminalità organizzata”.
“Questo è un Paese senza cultura istituzionale sui diritti umani dove a decidere sono gli apparati e non la politica – ha affermato Patrizio Gonnella di Antigone – I diritti umani sono trattati con retorica e non come una base culturale da diffondere. Ad esempio ultimamente si è parlato tanto del sovraffollamento delle carceri, ma nonostante la maggiore esposizione sui media nulla è cambiato: i detenuti erano oltre 66.500 e sono rimasti tali, a fronte di 45.500 posti regolamentari”.
Se parliamo di immigrazione, poi, si apre un mare di diritti umani non rispettati che ci sarebbe da discuterne all’infinito: siamo ancora fermi alla legge Bossi-Fini del 2000 e nel frattempo non si è fatto quasi nulla. “E’ stata approvata, ma in modo non del tutto soddisfacente, la direttiva europea sui rimpatri, mentre non abbiamo ancora una legge organica sull’asilo e anche in questo caso l’Italia sembra agire sempre per tamponare le emergenze” ha detto Celina Frondizi dell’Associazione Stidi Giuridici sull’Immigrazione.    
E nei Cie, Centri di identificazione e di espulsione, vengono rispettati i diritti umani? “Il CIE di Ponte Galeria, a Roma, è il più grande d’Italia ed è stato definito un’isola felice rispetto agli altri centri. Noi siamo andati a verificare se lì dentro vengono rispettati i diritti umani e i risultati sono stati alquanto deludenti – ha detto nel suo intervento Maria Rita Peca di Medici per i Diritti Umani – Si tratta di un’istituzione detentiva in tutti i sensi, atta a punire più che ad identificare l’immigrazione irregolare. Lì dentro, ad esempio, non possono entrare libri, né fogli, perché sono materiali infiammabili, quindi non viene distribuito neanche un regolamento sulla gestione della struttura. Ma non entrano neanche i pettini perché ritenuti oggetti pericolosi”.
Il giornalista deve rivendicare il suo diritto di cronaca quando questo serve ad illuminare altri diritti che vengono calpestati – ha dichiarato Roberto Natale, Presidente della FNSI – Per questo vorrei ricordare una grande vittoria che un gruppo di giornalisti ha ottenuto nell’ambito della campagna “Lasciateci entrare”: una circolare dell’ex Ministro Maroni aveva vietato ai giornalisti di entrare nei CIE, ma grazie a questa iniziativa il divieto è stato revocato”.
E i migranti che lavorano in che condizioni lo fanno? “Di certo non godono delle stesse tutele dei lavoratori italiani – ha sottolineato Silvana Cappuccio della Cgil, ricordando che, per fortuna, “nel 2011 è stato introdotto il reato di caporalato” che è un grande passo avanti, ma “resta primario il compito di mettere in atto un meccanismo di tutele che i lavoratori migranti non hanno”.
E il reato di tortura dove lo mettiamo? L’Italia non si sente ancora pronta a questo passo in avanti e crede che le leggi attuali siano già sufficienti. Ma non è così perché il crimine di tortura è un crimine a sé, con una sua storia e una sua pena e non va confuso con altri reati.
di Antonella Giordano


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