Bruxelles chiama Roma: la discarica di Malagrotta contiene rifiuti che non subiscono il trattamento stabilito prima di essere interrati. La Commissione Europea è preoccupata che altre discariche della Regione Lazio si trovino nelle stesse condizioni di Malagrotta ed ha inviato un parere motivato all’Italia dandole due mesi di tempo per conformarsi alla normativa UE sui rifiuti. Le discariche che violano le norme sono una seria minaccia alla salute umana e all’ambiente e la direttiva europea cerca di prevenire gli effetti negativi.
Stabilisce, infatti, che i rifiuti, prima di essere interrati, subiscano processi fisici, termici, chimici, o biologici, che ne riducono il volume o la natura pericolosa e ne facilitano il trasporto o il recupero.
Da un’indagine EU Pilot è emerso che nella discarica di Malagrotta, e forse in altre discariche del Lazio, parte dei rifiuti vengono interrati senza essere prima trattati. E nel piano di gestione dei rifiuti adottato dalla Regione Lazio a gennaio scorso sono emerse contraddizioni tra la capacità di trattamento meccanico-biologico nel Lazio e il quantitativo di rifiuti prodotto nella Regione. Un deficit di capacità che ammonta a 126 891 tonnellate all’anno nella provincia di Latina e a più di un milione di tonnellate all’anno nella provincia di Roma. Di conseguenza, un rilevante quantitativo di rifiuti viene interrato senza subire un adeguato pretrattamento.
Secondo le autorità italiane, i rifiuti interrati a Malagrotta dovrebbero essere considerati come se avessero subito un pretrattamento, poiché sono stati sminuzzati prima di essere interrati. Ma secondo la Commissione questo non basta a sostituire un trattamento meccanico-biologico che stabilizzi il contenuto organico dei rifiuti riducendo il possibile inquinamento. E non è tutto: la Commissione rileva con preoccupazione che le autorità italiane non adottano misure sufficienti a ridurre i possibili effetti negativi sull’ambiente e gli eventuali rischi per la salute umana, come prescritto nella direttiva quadro sui rifiuti.
Se entro due mesi l’Italia non dà risposte adeguate la Commissione potrà decidere di adire la Corte di giustizia dell’Unione europea.
 


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