Economia circolare, EcoForum: norme inadeguate frenano lo sviluppo
Ci sono alcune esperienze di economia circolare, con filiere virtuose che producono nuova materia prima e nuove risorse dai rifiuti, che rischiano di chiudere o di bloccarsi, o sono di fatto già bloccate, non per problemi tecnologici ma perché le norme non sono adeguate e al passo coi tempi. Dai pannolini si può ricavare cellulosa e plastica, dai pneumatici fuori uso si ottiene polverino di gomma per l’asfalto, ma queste esperienze fanno fatica ad affermarsi. Sostiene Legambiente: “Per lo sviluppo dell’economia circolare è urgente intervenire per abbattere ostacoli normativi e burocratici”.
L’economia circolare dei rifiuti è al centro del IV Ecoforum organizzato a Roma da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club con la partecipazione di CONOU (Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati). Oggi, prima giornata del Forum (si prosegue fino al 22 giugno) si è parlato delle migliori esperienze italiane in tema di economia circolare ma anche degli ostacoli non tecnologici che occorre superare per poter sfruttare e beneficiare appieno delle opportunità offerte da questo nuovo tipo di scenario economico. Il passaggio all’economia circolare in Europa potrebbe far risparmiare circa 2 mila miliardi di euro entro il 2030, porterebbe a un aumento del 7% del Pil dell’Unione europea e un aumento dell’11% del potere d’acquisto delle famiglie.
L’economia circolare rappresenta un’opportunità per sviluppo economico e occupazionale e per risolvere problemi annosi legati alla gestione dei rifiuti e alla reperibilità delle materie prime, ma questo si scontra con il ritardo delle norme e con una legislazione inadeguata. “Seppure da Nord a Sud sono ormai numerose le esperienze di successo praticate da Comuni, società pubbliche e imprese private che fanno del nostro paese la culla della nascente economia circolare europea – ha dichiarato il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani – questa prospettiva continua a trovare ostacoli e barriere dovuti a legislazione inadeguata e contraddittoria che vanno rimossi. Il bando dei sacchetti di plastica non compostabili, le norme sulle materie prime seconde, la semplificazione delle procedure autorizzative per promuovere l’utilizzo del materiale differenziato da avviare a riciclo continuano ad avere problemi. Senza un intervento mirato in tal senso, la chiusura o la delocalizzazione delle imprese più innovative e sostenibili rischia di diventare la strada più probabile”.
Una storia emblematica è quella dei sacchetti di plastica compostabili. La norma sul divieto di usare sacchetti in plastica non compostabili in Italia risale al 2007 ma è diventata effettiva nel 2012. La diffusione dei sacchetti “legali” ha permesso di ridurre il consumo di sacchetti in plastica del 55%, eppure ancora oggi metà dei sacchetti in circolazione sono illegali. Altro esempio di uno sviluppo che rischia di arenarsi è quello del polverino di gomma che viene dal trattamento di Pneumatici Fuori Uso (PFU) negli asfalti. L’asfalto modificato con polverino di gomma è usato ormai da oltre quarant’anni, ma il ricorso a questo materiale è tuttora frenato dalla diffidenza degli operatori e dal mancato inserimento del polverino di gomma nei capitolati, a causa della mancanza di criteri tecnici adeguati a distinguere un rifiuto da una materia prima secondaria non più soggetta alla normativa sui rifiuti. C’è poi l’esempio dei pannolini e dei prodotti assorbenti per la persona (Pap) che, sottoposti a processo di sanificazione e a trattamento, permette di recuperare materiali diversi: da una tonnellata di rifiuti Pap si ottengono circa 150 kg di cellulosa, 75 kg di plastica e 75 kg di polimeri assorbenti. Spiega Legambiente: “In Italia, l’azienda privata Fater di Pescara ha realizzato a Spresiano (Tv), nel sito dell’azienda pubblica Contarina, un impianto di questo tipo dopo aver effettuato con successo la fase di sperimentazione. L’impianto è però fermo perché l’autorizzazione della Regione Veneto, in mancanza di una normativa nazionale, classifica le frazioni di plastica e di cellulosa prodotte dall’impianto come rifiuto e questo crea problemi alle aziende interessate al loro riciclo. Così la Fater ha avviato un procedimento legale che è ancora in corso e, nel frattempo, accumuliamo rifiuti, consapevoli che i rifiuti da PAP costituiscono circa il 2,5% dei rifiuti solidi urbani, pari a circa 900.000 tonnellate annue, mentre se il processo Fater venisse esteso su tutto il territorio nazionale, potremmo eliminare 3 discariche l’anno”.