Pasta, riso, caffè: cosa accade quando viene superata la data che indica la scadenza “preferibile” del consumo? Qualche consumatore testa la qualità del prodotto e verifica se è ancora buono, altri nel dubbio gettano via il tutto. Ora però l’Unione europea starebbe per rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire la scritta “da consumarsi preferibilmente entro” dalle confezioni di prodotti quali pasta, caffè, riso, formaggi duri. Il tutto con l’obiettivo di evitare lo spreco alimentare. Questo quanto emerge da alcune anticipazione pubblicate dal giornale tedesco Bild e dalla Coldiretti.
L’argomento sarebbe infatti all’ordine del giorno della riunione del Consiglio dell’Agricoltura, che si svolgerà oggi a Bruxelles. La proposta viene dalle delegazioni di Olanda e Svezia, che vogliono richiamare l’attenzione sul problema delle perdite alimentari suggerendo interventi quali l’esenzione dell’obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione o la data raccomandata per i prodotti a lunga conservazione, con il sostegno dell’Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo.
Spiega Coldiretti: “Complice la crisi economica oggi appena il 36% degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità dei prodotti scaduti prima di buttarli. Solo il 54% degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65% controlla almeno una volta al  mese la dispensa. Con la crisi si registra peraltro una storica inversione di tendenza e con quasi tre italiani su quattro (73%) che hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013 anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola. La tendenza al contenimento degli sprechi – sottolinea la Coldiretti – è forse l’unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l’anno”.
Come ricordano gli agricoltori, il Termine Minimo di Conservazione (TMC) “ha un suo significato ed è stato introdotto a garanzia dei consumatori anche se differisce dalla data di scadenza vera e propria. Il Termine Minimo di Conservazione riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro“  indica  – sottolinea la Coldiretti – la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Cioè indica  soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa. Si sottolinea però che tanto più ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto , quale il sapore, odore, fragranza”. Si tratta di un termine diverso dalla scadenza vera e propria, che si applica a prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili da un punto di vista microbiologico ed è indicata con il termine “Da consumarsi entro” seguito dal giorno, il mese ed eventualmente l’anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a 30 giorni. Gli agricoltori si dichiarano però preoccupati di eventuali ripercussioni sulla qualità del cibo mangiato: “Con l’eliminazione della “data di scadenza” l’Unione Europea taglia di fatto la qualità del cibo in vendita in Europa che con il passare del tempo perde le proprie caratteristiche nutrizionali in termini di contenuto in vitamine, antiossisidanti e polifenoli che fanno bene alla salute, ma anche quelle le proprietà organolettiche, di fragranza e sapore dal quale deriva il piacere di stare a tavola”.
La questione, vista dal consumatore, non è però così semplice. In effetti, fino a quando si può consumare un determinato cibo? Spiega Silvia Biasotto, responsabile alimentazione del Movimento Difesa del Cittadino: “Per il consumatore non sempre è chiara la differenza tra data di scadenza e termine minimo di conservazione (TMC). Ma anche quando è chiara, è difficile capire fino a quanto tempo dopo il TMC posso consumare il prodotto. Ad esempio per un pacco di pasta andrebbe bene qualche mese. La soluzione non può essere eliminare la dicitura per prodotti le cui qualità organolettiche diminuiscono con il passare del tempo oppure che se non adeguatamente conservati potrebbe subire un deterioramento accelerato. Sarebbe utile poter indicare in etichetta che quel prodotto può essere consumato “fino a x mesi dopo il TMC” pur non garantendo le proprio caratteristiche intrinseche”.
Federconsumatori e Adusbef, a loro volta, si dichiarano contrarie alla proposta di eliminare il Termine Minimo di Conservazione dai prodotti, proposta al vaglio dell’Europa e considerata come “un vero e proprio tentativo di privare i cittadini di informazioni importanti circa i prodotti che portano in tavola”, e chiedono piuttosto di avviare una campagna seria di informazione contro gli sprechi alimentari. “L’ipotesi di eliminare completamente la data di scadenza dalle confezioni di pasta, riso e caffè desta grande preoccupazione – affermano le due associazioni – Condividiamo pienamente la necessità di ridurre al minimo gli sprechi alimentari, soprattutto in una fase difficile e delicata come quella che i cittadini stanno attraversando, ma siamo convinti che questa necessità non si debba scontrare con la qualità dei prodotti che le famiglie acquistano.Eliminare il termine minimo di conservazione (la ben nota formula “da consumarsi preferibilmente entro…”) dalle etichette di tali prodotti, infatti, significherebbe dire addio a qualsiasi informazione chiara che consenta al cittadino di “datare” il prodotto. Informare i cittadini circa la possibilità di consumare tali prodotti anche qualche mese oltre la data indicata è un conto, eliminare del tutto ogni possibilità di risalire alla freschezza del prodotto è un’altra”. Senza contare, temono le due associazioni, che con il proliferare dei casi di truffa e adulterazioni nel campo alimentare, “non sarebbe poi così lontano il rischio di trovare sugli scaffali prodotti che abbiano già superato i termini massimi di conservazione senza che nessuno lo sappia”. La polemica è già partita.


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3 thoughts on “Pasta, riso, caffè: l’Europa discute della “data di scadenza”

  1. La crisi economica europea sta diventando un’alibi per le multinazionali per togliere definitivamente la possibilità di un reale controllo della commercializzazione dei cibi e poter immettere sul mercato prodotti scaduti con serio attentato alla salute dei consumatori infatti: così facendo sono salvi da qualunque accusa di aver immesso sul mercato prodotti avariati o compromessi dagli additivi chimici che inseriscono nella produzione per qualità e quantità ai fini di ridurre il costo e realizzare un maggiore utile.
    E’ un controsenso dare la colpa allo spreco dei consumatori perché “proprio per la crisi economica gli stessi hanno ridotto gli acquisti al minimo indispensabile al consumo giornaliero o settimanale” Allora le cause degli sprechi sono da ricercare altrove magari nelle comunità o associazioni sovvenzionate dallo Stato che,pur di mantenere alte le sovvenzioni acquistano grandi quantità che vengono distribuite sotto banco o vendute facendo credere che vengono buttate per scadenza del prodotto.Invece di favorire questi intrallazzi e favorire le multinazionali , l’Unione Europea farebbe bene indagare più a fondo di questi presunti “sprechi” che i consumatori non fanno proprio perché non ce la fanno ad arrivare a fine mese.

  2. L’indicazione del TMC è una misura saggia e ponderata, tanto più che è applicato a discrezione e responsabilità del produttore. Questi ha in partenza i mezzi per controllare la vera vita di scaffale dei suoi prodotti, quella che gli interessa per non essere escluso dal mercato attraverso il giudizio negativo dei consumatori, definibile come quella a cui corrisponde per uno specifico tipo di confezionamento un decadimento significativo delle caratteristiche riconoscibili e peculiari dell’alimento nel range di condizioni previsto di conservazione (es. T°e umidità) in un certo mercato. Togliere tale indicazione significherebbe prestare il fianco ad abusi ed errori a danno sia dei produttori che dei consumatori. Piuttosto è da sviluppare una campagna educativa sui consumatori ( e purtroppo parecchi opinion-leaders) che in gran parte non hanno ancora ben colto la differenza fra “data di scadenza” che ha a che fare più spesso con la salubrità, e la “data di consumo preferibile”(TMC), MA NON OBBLIGATORIA, che contiene di per se un margine adeguato , in buone condizioni di conservazione, entro cui il prodotto è ancora commestibile e sicuro.

  3. Vedi NINO, verrebbe da sorvolare sulla tua sparata ideologica contro l’industria alimentare ed in particolare contro “le Multinazionali”., ma ti rispondo per il rispetto di altri che, inconsapevoli dell’argomento, ti leggono.
    Se non lo sai, TUTTE le industrie alimentari , piccole ,medie, grandi, e multinazionali, sono libere e responsabili di mettere sui prodotti il TMC che desiderano, lungo o corto, anche doppio rispetto a quello scientificamente e commercialmente ragionevole. La durata del TMC (limite preferibile di consumo) non è dettata né imposta da nessun organo ufficiale, il quale ha il compito di intervenire solo quando sussista un “cattivo stato di conservazione pericoloso per il consumatore”. Tutte si regolano sulla base dei parametri di accettabilità dei consumatori che ne decretano successo o insuccesso. Quindi non ha senso togliere il TMC, ma ha senso educare i consumatori a gestirlo al meglio per evitare sprechi.

Parliamone ;-)

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