Gustose e consumate abbondantemente, le cozze sono tuttavia tra i piatti storicamente più a rischio di accumulare ed assorbire batteri, contaminanti e biotossine marine, al punto di essere ritenute al pari di vere e proprio “sentinelle del mare”. La loro abilità nel filtrare l’acqua, nutrendosi dunque dei relativi microrganismi presenti, gli consente così di rivelarne al contempo la qualità generale ed i relativi inquinanti che la intossicano. Poiché il consumo di mitili è strettamente legato alla bella stagione, complice l’enorme migrazione di persone verso località e villeggiature marittime, è bene domandarsi quale sia l’effettiva qualità di ciò che finisce in tavola.

Per rispondere a questa domanda Il Salvagente ha analizzato in laboratorio 8 tipologie di cozze, comunemente reperibili in altrettanti supermercati nazionali, alla ricerca di inquinanti e agenti batterici come salmonella, listeria, metalli pesanti e diossine/pcb.

I risultati emersi dalle indagini sono disponibili nel nuovo numero della rivista, in edicola da oggi. In linea generale, sembra non esserci nulla di preoccupante: la qualità media delle retine di cozze messe sotto la lente d’ingrandimento è apparsa estremamente alta.

Eppure, diversi sono i casi che hanno visto un ruolo da protagoniste in senso negativo. Impossibile non citare l’epidemia di colera a Napoli del 1973 e lo sforamento dei limiti consentiti di diossina nell’acqua rilevato in quel di Taranto, nel 2011, che inaugurò il grande dibattito nazionale circa l’acciaieria Ilva ed il relativo impatto ambientale causato dagli scarichi del capoluogo pugliese.

Ma attenzione a credere che il rischio intrinseco e potenziale del consumo delle cozze riguardi solamente le emergenze sanitarie del passato.

La legislazione in materia stabilisce infatti come il prodotto debba essere “vivo e vitale” al momento stesso dell’acquisto, e questa norma specifica ne aumenta sensibilmente il pericolo di eventuali contaminazioni batteriche, come testimoniano le periodiche epidemie estive di epatiti e dissenterie croniche causate dalla presenza di batteri fecali.

Vincenzo Cagnazzo, responsabile del laboratorio Re.Chem.An al quale Il Salvagente ha commissionato le analisi su diossina e pcb, conferma come “la presenza di valori bassi e molto simili tra loro testimoniano un profilo elevato di sicurezza alimentare non affatto scontato, visto che parliamo di cozze molto esposte all’inquinamento ambientale”.

Anche i controlli riguardanti igiene e batteri hanno dato i medesimi responsi confortanti, in particolare nei confronti di salmonella ed escherichia coli; i due patogeni, laddove rilevati, hanno presentato un dato che è dieci volte inferiore al limite di legge.

Un consiglio importante per la scelta e la conservazione delle cozze, come ricorda l’esperta di sicurezza alimentare Daniela Maurizi, è acquistare solamente “retine chiuse e con il bollino previsto, conservate in modo adeguato in un range di temperatura compreso tra 3 e 6°C, necessario per mantenere il prodotto vivo, e una volta a casa riposte in frigorifero e mangiate, rigorosamente cotte, entro 12 o al massimo 24 ore”.


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Scrive per noi

Elena Leoparco
Elena Leoparco
Non sono una nativa digitale ma ho imparato in fretta. Social e tendenze online non smettono mai di stuzzicare la mia curiosità, con un occhio sempre vigile su rischi e pericoli che possono nascondersi nella rete. Una laurea in comunicazione e una in cooperazione internazionale sono la base della mia formazione. Help Consumatori è "casa mia" fin dal praticantato da giornalista, iniziato nel lontano 2012.

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