Garante Privacy: no alla pubblicazione di immagini lesive alla dignità del malato (Foto Pixabay)

Il Garante per la protezione dei dati personali ha recentemente ammonito la madre di una giovane donna paralizzata a seguito dell’aggressione dell’ex fidanzato, ribadendo che non è lecito pubblicare immagini lesive della dignità di un malato, anche se lo scopo è denunciare la sua difficile qualità di vita. L’intervento dell’Autorità è avvenuto in seguito a un reclamo presentato dall’amministratore di sostegno della ragazza, che lamentava la violazione della normativa sulla privacy.

Contesto e reclamo

Il reclamo è stato motivato dalla diffusione sui social media di immagini e notizie riguardanti la salute e la vita privata della giovane, ad opera della madre. Nei post venivano riportati anche i fatti di cronaca relativi all’aggressione subita dalla ragazza e alcune informazioni riservate sulle sue vicende processuali. Durante l’istruttoria, è emerso che i post della madre ritraevano la giovane in condizioni peculiari del suo stato di salute senza alcuna forma di oscuramento, risultando così lesive della sua dignità. In particolare, due delle immagini ritraevano la ragazza con i capelli rasati e distesa su una sedia a rotelle con la bocca semiaperta.

Il Garante, riconoscendo la fondatezza del reclamo, ha stabilito che la diffusione di tali immagini violava i princìpi di dignità e riservatezza del malato. L’autorità ha ricordato, inoltre, che la diffusione di dati sulla salute è sottoposta a regole deontologiche precise, applicabili non solo a chi svolge attività giornalistica, ma a chiunque pubblichi articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero, anche occasionalmente.

Le regole deontologiche stabiliscono limiti chiari alla diffusione dei dati sulla salute, mettendo al centro il rispetto della dignità del malato, il diritto alla riservatezza e il decoro personale, soprattutto nel caso di malattie gravi o terminali. Questi princìpi valgono anche quando foto e informazioni sono utilizzate per denunciare la qualità di vita della persona malata o i relativi problemi di assistenza.

Ammonimento in buona fede

Nel suo provvedimento, il Garante ha ritenuto sufficiente la misura dell’ammonimento, considerando che la madre aveva agito in buona fede con l’intento di attirare l’attenzione mediatica sulla condizione della figlia. Tuttavia, è stato chiaro che, pur comprendendo le motivazioni della madre, la dignità e la riservatezza della persona malata devono essere sempre salvaguardate.

In sostanza ha stabilito che è lecito diffondere post che non contengono contenuti “crudi” e che rientrano nelle forme di libera manifestazione del pensiero. Questo bilanciamento permette di rispettare il diritto alla libertà di espressione senza compromettere la dignità e la privacy delle persone coinvolte.

Il caso evidenzia l’importanza di rispettare la privacy e la dignità delle persone malate anche nel contesto di una legittima denuncia sociale. La normativa sulla privacy è dunque fondamentale al fine di garantire che le comunicazioni pubbliche non ledano i diritti dei soggetti più vulnerabili. Il caso in generale può anche essere letto come un invito, un richiamo alla responsabilità nel corretto uso dei social e nella diffusione di informazioni sensibili, sottolineando un approccio rispettoso e consapevole.

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