Si dice che il tempo serve a lenire i dolori dell’anima. è vero in molti casi, ma non in tutti. Lo sa bene Saeeda Khatoon che ha perso il suo unico figlio nell’incendio della fabbrica Ali Enterprises di Karachi l’11 settembre 2012. Da allora, ha continuato a lottare insieme all’Ali Enterprises Factory Fire Affectees Association (AEFFAA), di cui è Presidente, per chiedere giustizia per i sopravvissuti e i familiari delle vittime.

È una dei quattro cittadini pakistani ad aver intentato causa contro KiK in Germania. AEFFAA fa parte della coalizione di organizzazioni internazionali che ha inoltrato la denuncia all’OCSE nell’autunno 2018 contro la società italiana RINA, colpevole di aver certificato la perfetta corrispondenza della fabbrica agli standard di sicurezza previsti a livello internazionale e nazionale.

Questa mattina Saeeda ha partecipato alla conferenza stampa organizzata per fare il punto sui percorsi legali intrapresi per ottenere piena giustizia per le vittime, tra cui la causa in corso presso la corte di Dortmund, alla quale cui le vittime per la prima volta hanno partecipato presenziando ad un’audizione orale il 29 novembre, l’indagine penale in Italia e il processo in Pakistan.

Durante l’evento è stato inoltre presentato il caso dell’istanza inoltrata al Punto di Contatto Nazionale in Italia (PCN) delle Linee Guida OCSE destinate alle imprese multinazionali contro RINA per aver fallito nell’identificare le lacune nelle misure di sicurezza solo poche settimane prima dell’incendio.

Come ha sottolineato Ben Vanpeperstraete, coordinatore del team Lobby e Advocacy della Clean Clothes Campaign, “può accadere che un incendio divampi. Ciò non deve succedere sono le conseguenze drammatiche che si sono avute nella fabbrica dell’Ali Enterprises che si sarebbero potute tranquillamente evitare se solo i controllori per la sicurezza avessero fatto correttamente il loro lavoro”.

La società di controllo RINA, infatti, solo poche settimane prima dell’incendio, aveva certificato che la struttura della fabbrica era perfettamente a norma e rispettava tutti gli standard di sicurezza. La realtà dei giorni successivi ai controlli ha però dimostrato l’esatto contrario.

Oggi, nonostante un primo risarcimento sia stato concesso alle famiglie delle vittime e ai sopravvissuti, Clean Clothes Campain, Abiti Puliti, Movimento Consumatori, European Center for Constitutional and Human Rights e Ali Enterprises Factory Fire Affectees Association, chiedono che la giustizia faccia un altro passo avanti. Servono innanzitutto le scuse da parte di RINA e, naturalmente un indennizzo per i danni fisici, economici e morali subiti da coloro che direttamente o indirettamente sono rimasti coinvolti nell’incendio.

“C’è bisogno di globalizzare anche i diritti umani minimi e non soltanto i mercati e le produzioni industriali”, aggiunge a conclusione dell’incontro Gianni Pietro Girotto, Presidente della 10ª Commissione permanente (Industria, commercio, turismo).

 

Notizia pubblicata il 03/12/2018 ore 17.25


Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!



Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella per confermare l'iscrizione
Privacy Policy

Parliamone ;-)