jeans

Il Novecento è stato il secolo del lavoro e sarà ricordato anche come il secolo che ha visto l’affrancamento del lavoratore da tante malattie professionali, causate appunto da alcune condizioni di lavoro. Una di queste è la silicosi, dovuta ad un’esposizione elevata alla silice cristallina libera.
E’ interessante vedere il percorso che la società ha fatto per arrivare ad accettare il collegamento tra la malattia e determinate condizioni di lavoro; parte di questo percorso è stato ricostruito da Francesco Carnevale, presidente della Fondazione Michelucci, durante il convegno dedicato alla silicosi, che si è tenuto ieri a Roma, presso la sede dell’Inail.
“La prima discussione sulla silicosi come malattia dei lavoratori risale ai primi anni dell’800, quando in Gran Bretagna morirono alcuni lavoratori che affilavano coltelli. Una secondo, violenta crisi si è avuta durante la ricerca dell’oro in Sudafrica nei primi anni del ‘900, quando sono stati introdotti alcuni martelli che producevano molta più polvere rispetto ai picconi. Negli anni ’30 c’è stata un’altra crisi importante negli Stati Uniti che ha colpito alcuni lavoratori che stavano costruendo una galleria per l’energia elettrica. In Italia, la prima crisi è stata tardiva: alla fine degli anni ’30 alcuni lavoratori hanno fatto una serie di cause ai datori di lavoro per essersi ammalati sul posto di lavoro e nel 1943, in piena guerra, venne emanata la legge sull’assicurazione da silicosi”.
In questa storia si inserisce tutto un dibattito medico, che in un certo senso ha contribuito a ritardare la definizione di silicosi come malattia da lavoro: una delle cause di questo ritardo è stata l’eccessiva speranza riposta dai medici nei farmaci capaci di ridurre l’impatto della silicosi.
Ma oggi la silicosi è ancora un problema attuale, soprattutto in alcuni paesi. La Turchia, ad esempio, dove la silicosi colpisce lavoratori giovani del settore tessile. Ebbene, se nel secolo scorso la silicosi uccideva in miniera o nei cantieri edilizi, oggi uccide nei laboratori di jeans. Sì perché per ottenere quell’effetto vintage che rende il jeans un capo d’abbigliamento ancora più alla moda, bisogna spruzzargli sopra un getto di sabbia con aria compressa che spesso contiene silice cristallina.
Il capo d’abbigliamento simbolo della globalizzazione (se ne producono oltre 5 miliardi di paia all’anno) diventa anche un simbolo di morte. Un fenomeno assurdo che ha ispirato un libro dal titolo abbastanza eloquente “Jeans da morire”, (editore Ediesse) scritto da Silvana Cappuccio, sindacalista della Cgil esperta di problemi internazionali del lavoro nel settore tessile e dell’abbigliamento.
“Mi sono occupata della silicosi durante la mia esperienza alla Federazione Internazionale dei lavoratori del tessile abbigliamento e cuoio che mi ha portato come cooperante in molti paesi terzi. Ho scoperto questo fenomeno nel 2009, quando il Ministero della Salute della Turchia ha messo al bando l’uso della silice nei processi di sabbiatura dei jeans e di altri prodotti tessili – ha raccontato Silvana Cappuccio – A questa decisione si arrivò comunque dopo tante discussioni, soprattutto dopo che nel 2005 erano morti per silicosi due lavoratori di 18 e 19 anni (non fumatori) che lavoravano in un laboratorio di jeans da meno di 5 anni. Da allora partì un’enorme campagna che coinvolse vari soggetti, dai sindacati alle Ong. La questione su cui ci si interrogava era se mettere o no al bando la produzione di jeans sabbiati. Purtroppo abbiamo dovuto constatare un aspetto molto triste che ha visto un’estrema timidezza da parte delle organizzazioni internazionali del lavoro di fronte al fenomeno”.
Anche se lentamente, si è però arrivati al lancio di una campagna globale per la messa al bando della sabbiatura nella produzione dei jeans e per la sostituzione della silice, sostanza cancerogena, con altre sostanze meno dannose. Il fenomeno non riguarda soltanto la Turchia che, essendo uno dei più grandi produttori di jeans, ha oltre un milione di lavoratori nel settore dell’abbigliamento; in Europa 32 milioni di lavoratori sono esposti ad una o più sostanze cancerogene e di questi il 10% è esposto alla silice.
Silvana Cappuccio ha precisato che non sono soltanto i lavoratori a rischiare di ammalarsi. “Si sono ammalati anche i magazzinieri, gli aiutanti e persino i vicini. Tutto questo ha pesanti effetti sociali; il Parlamento Europeo ritiene che la silice sia responsabile del 3% delle morti da tumore al polmone. E’ importante che questa sostanza venga eliminata, soprattutto laddove è possibile”. Nel caso dei jeans è possibile, poiché l’effetto vintage può essere ottenuto con tecniche alternative alla sabbiatura – ha concluso Silvana Cappuccio – Il problema non è quello di boicottare un capo d’abbigliamento, ma di esigere che sia prodotto con il rispetto delle norme fondamentali in materia di lavoro. E’ importante quindi coinvolgere sia le catene di distribuzione che i consumatori affinché si esiga il rispetto di queste condizioni”.
di Antonella Giordano


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