Rapporto Censis 2011, Italia recuperi lo scheletro contadino
Sono tanti i numeri che fotografano la crisi non solo economica dell’Italia: giovani che non trovano lavoro perché l’offerta formativa è dispersiva, famiglie che stanno assottigliando i loro risparmi, deficit di classe dirigente, sviluppo fiacco con un terziario scadente e servizi che non si aprono al mondo. Eppure una soluzione c’é. “Tenere la barra dritta su economia reale, rappresentanza politica, lunga durata e coesione interna”.
Qualche anno fa la famiglia italiana era paragonabile ad una S.P.A. dove il 70% del reddito complessivo arrivava dal lavoro, soprattutto dipendente, e la propensione all’accumulo era elevata, oltre ad essere possibile. Oggi non è più così: c’è stata una profonda trasformazione dell’entità famiglia, che è un po’ la fotografia del cambiamento che ha subito l’intero Paese. La vecchia S.P.A. è diventata un soggetto distributore, dove cioè i genitori aiutano i figli o viceversa.
E’ il quadro che emerge dal 45° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2011, presentato oggi a Roma. Il Rapporto misura il Paese in tutte le sue facce e ne sottolinea i punti di forza e di debolezza. Il racconto comincia proprio dalla crisi del modello italiano della famiglia polifunzionale, soprattutto sul versante del patrimonio e della solidarietà intergenerazionale. Oggi solo il 53% delle risorse a disposizione della famiglia arriva dal lavoro. Questo ha portato ad un’erosione significativa del patrimonio delle famiglie italiane che è passato dai 3.042 miliardi di euro del 2006 ai 2.722 miliardi, con un calo del 16,3% in valori reali.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad una famiglia diversa, che cerca, però, di mantenere il vecchio stile di vita: quello stile di vita italiano che ci contraddistingue nel mondo per qualità e capacità di attrazione. La nostra reputazione all’estero è molto elevata e stride con la nostra scarsa autostima. Nella classifica della percezione internazionale, l’Italia si colloca al 14° posto, cioè prima di Regno Unito, Spagna, Francia e Stati Uniti. Nella classifica della reputazione interna del Paese, invece, scendiamo al 35° posto, su 37 Paesi. Abbiamo, cioè, uno stile di vita invidiabile, tanto che non vogliamo rinunciarci, ma non lo apprezziamo fino in fondo. Per mantenere lo stesso stile di vita, con consumi più o meno stabili, stiamo assottigliando i nostri risparmi che non riusciremo a recuperare. L’accumulazione non è più possibile. Così dall’essere il 2° paese in Europa, dopo la Germania, per propensione al risparmio, l’Italia è passata al 7° posto, dopo la Slovenia.
E questo è solo il risultato di una serie di direzioni sbagliate che il nostro Paese sta percorrendo da troppi anni. Sono almeno 10 anni che abbiamo uno sviluppo fiacco: la produttività è crollata e l’occupazione è aumentata più del Pil. Questo non succede in nessun altro Paese Europeo: il nostro tasso di produttività è il 20-30% più basso rispetto a Francia e Germania. Siamo un Paese terziario, ma il nostro terziario è ormai scadente e non abbiamo sviluppato i servizi che oggi sono, invece, il volano della crescita.
I nostri servizi sono troppo limitati geograficamente e non riescono ad internazionalizzarsi. All’estero non troviamo ancora una catena alberghiera italiana. Anche le nostre esportazioni non riescono a raggiungere quei paesi chiave, come la Turchia e la Polonia, con importazioni elevate: piazzando i nostri prodotti su quei mercati daremmo una grossa spinta all’economia reale che è quello che ci serve. Sono troppi anni che si parla di finanza, a discapito di un’economia reale che ristagna e a volte arretra.
E poi ci sono tutte le distorsioni di un’offerta formativa dispersiva e poco chiara, che ha favorito una liceizzazione dei giovani, a discapito della specializzazione. E se quelli che vanno a scuola non si specializzano, sono sempre di più quelli che abbandonano il percorso formativo: il tasso del diploma non supera la soglia del 75% dei 19enni. E se il 65% dei diplomati tenta la carriera universitaria, il 20% abbandona gli studi al 1° anno. Il tasso di occupazione tra i laureati italiani è il più basso d’Europa: 76,6% contro una media dell82,3%. E non meraviglia che ci siano ben 36.000 domande di italiani che vogliono insegnare all’estero. Questo vuol dire che il nostro sistema formativo è fuori centro.
Anche nei settori dell’Hi-tech dove abbiamo una buona presenza, rischiamo di far andare via i nostri giovani, perché non si investe: la spesa pubblica, ad esempio, è stata tagliata per il settore farmaceutico, mentre è aumentata per quello sanitario.
Infine, il deficit della classe dirigente: troppi uomini, troppi ultra 45enni, e pochi laureati. Questo non aiuta certo a migliorare la rappresentanza politica che in Italia, soprattutto negli ultimi anni, è crollata. Una classe politica che non è più l’espressione del Paese e che non riesce ad interpretare i suoi bisogni.
E’ qui che si insinua un doppio pericolo, come ha spiegato il Presidente del Censis Giuseppe De Rita: “L’Italia subisce una situazione di doppio pericolo: la socialità è lasciata a se stessa, come una moltitudine in preda alle emozioni montanti. E tra queste emozioni c’è un recupero di un nazionalismo un po’ becero che apre spazi per nuovi leader alla Peron. La filosofia che stiamo seguendo è quella di “ognuno per se e Francoforte per tutti”, ma questo non ci porta da nessuna parte perché vuol dire solo finanza e non innovazione né sviluppo”.
E allora cosa si può fare di fronte a questo scenario? “L’unica soluzione – ha detto De Rita – è quella di tenere la barra dritta, soprattutto su 5 punti che sono fondamentali per un Paese: l’economia reale, la lunga durata, la coesione interna, nuovi format relazionali e il primato della rappresentanza”. Secondo De Rita, non essendoci un piano europeo di sviluppo cui possiamo aggrapparci, bisogna “recuperare una concezione del tempo che entra nella storia”, recuperando il controllo delle decisioni che durano nel tempo.
“Siamo tutti prigionieri dell’evento giornaliero” che ci tiene in balia del presente. Dall’altro lato “la rappresentanza politica è morta” e si stanno creando nuovi gruppi e nuove relazioni, stimolate anche dalla tecnologia e da Internet, dove si trovano nuove identità, anche stravaganti. Infine, in Italia ci sono potenziali conflitti che non sono di per sé un fattore negativo. “E’ bene anzi capire qual è la dimensione conflittuale del Paese e farla emergere – ha concluso il Presidente del Censis, che ha suggerito agli italiani di recuperare lo scheletro contadino che è il proprio scheletro portante.