Si chiama modal split l’indicatore messo a punto da Fiab, Legambiente e Città in Bici per misurare la reale ciclabilità di una città. Come? Le Associazioni partono da un dato di fatto: se sono tanti a scegliere la bici per gli spostamenti quotidiani, vuol dire che quel centro urbano è a misura di due ruote. Al contrario, se la bici non la usa quasi nessuno, vuol dire che – chilometri di ciclabili a parte, bike sharing, ciclo posteggi e altro –  l’amministrazione locale privilegia esclusivamente i mezzi a motore.  Sulla base di questo indicatore, le Associazioni hanno stilato una classifica: a Brescia, ad esempio, nonostante i 73,6 km di piste ciclabili, solo 6 spostamenti su 100 si fanno in bicicletta e complessivamente solo 29 spostamenti sono sostenibili (piedi, in bici e con il mezzo pubblico) contro 71 insostenibili (auto e moto). A Pesaro, invece, i km di pista ciclabile sono 12 di meno ma sono più numerosi gli spostamenti sostenibili (46 su 100).
Secondo le Associazioni la chiave di svolta è l’intermodalità necessaria per incentivare l’uso della bicicletta a scapito di quello di un mezzo a motore ma, anche se il processo in alcune città italiane è avviato, la situazione generale è ancora al palo. Basti pensare, infatti, che tutta l’Italia dispone di 3.297,2 chilometri di piste ciclabili urbane, l’equivalente di sole 3 città europee (Stoccolma, Hannover e Helsinki) e che un terzo dei capoluoghi del Belpaese non ha affatto o ha solo piccolissimi spezzoni di percorsi ciclabili. E anche l’intermodalità è ancora un miraggio visto che solo 4 città su 104 prevedono una o più linee di trasporto pubblico locale dove è consentito portare biciclette, un permesso sporadico in pochissime altre e inesistente nel resto.
 Tuttavia investire sulla bicicletta è quanto mai indispensabile perché solo in questo modo sarà possibile raggiungere gli obiettivi dell’UE previsti per il 2050 di riduzione del 60% delle emissioni nel settore dei trasporti.
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