Istat: oltre un quinto della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale (Foto Pixabay)

Oltre un quinto della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale. È un dato in flessione, quello fotografato oggi dall’Istat – il 22,8% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale – ma restituisce comunque l’immagine di un’ampia fetta di popolazione (quasi 13 milioni e 400 mila persone) a rischio di povertà in riferimento a indicatori quali reddito, deprivazione e intensità da lavoro.

Nel 2022 questa quota era addirittura del 24,4%.

Il valore, spiega l’Istat, è in calo a fronte di una riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà, che si attesta al 18,9% (da 20,1% dell’anno precedente) e di un lieve aumento della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,7% rispetto al 4,5%).

I dati sono contenuti nel report su Condizioni di vita e reddito delle famiglie del 2023 che valuta anche l’impatto dell’inflazione sui redditi.

Rischio povertà in Italia

Nel 2023, spiega l’Istat, “la riduzione della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è particolarmente marcata al Nord, mentre il Nord-est si conferma la ripartizione con la minore incidenza di rischio di povertà (11%); la quota di popolazione in questa condizione è stabile al Centro (19,6%) e si riduce nel Mezzogiorno, l’area del paese con la percentuale più alta di individui a rischio (39% rispetto al 40,6% del 2022)”.

L’incidenza del rischio di povertà o esclusione sociale si riduce per tutte le tipologie familiari e in particolare per gli individui che vivono in famiglie con quattro componenti (21,8% rispetto al 24,8% del 2022) e per le coppie con due figli (20,6% rispetto a 23,4% del 2022) e con un figlio (19% rispetto a 21,3%) che hanno beneficiato del nuovo Assegno unico universale per i figli. Tuttavia, prosegue l’Istat, per le famiglie numerose aumentano gli individui in condizione di bassa intensità di lavoro, in particolare aumentano se vi sono cinque e più componenti (6,6% rispetto a 5,1% dell’anno precedente) e in caso di coppie con tre o più figli (6% rispetto al 3,5% dell’anno precedente), presumibilmente per una maggiore difficoltà nella conciliazione delle attività di lavoro e cura.

Inflazione e redditi in calo

Nel 2022, il reddito medio delle famiglie (35.995 euro) aumenta in termini nominali (+6,5%), mentre segna una netta flessione in termini reali (-2,1%) tenuto conto della forte accelerazione dell’inflazione registrata nel corso dell’anno. Si confermano le disuguaglianze: il reddito totale delle famiglie più abbienti è 5,3 volte quello delle famiglie più povere (era ancora superiore, pari a 5,6, nel 2021).

La reazione dei Consumatori

L’Unione Nazionale Consumatori si sofferma soprattutto sul 22,8% di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale.

«Dati da Terzo Mondo! – commenta il presidente UNC Massimiliano Dona – Anche se il dato è in calo rispetto al 2022, da 24,4% a 22,8%, avere più di un quinto della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è comunque inaccettabile e vergognoso. Il permanere di un’inflazione elevata, dopo l’8,1% del 2022 (indice Nic) si è rimasti al +5,7% nel 2023, ha ridotto i redditi delle famiglie in termini reali, mitigando gli effetti delle politiche di protezione sociale e aumentando le diseguaglianze, essendo l’inflazione, come diceva Einaudi, la più iniqua delle tasse».

Per il Codacons i dati sulle condizioni di vita e il reddito delle famiglie “certificano in modo inequivocabile lo tsunami provocato negli ultimi anni dal caro-prezzi sulle tasche degli italiani”.

«Nel 2022 il reddito medio delle famiglie è salito del 6,5% ma, per effetto del fortissimo aumento dei prezzi al dettaglio, ha registrato un calo in termini reali del -2,1% – dice il presidente Carlo Rienzi – Questo significa che i cittadini hanno subito un progressivo impoverimento che è ancor più evidente se si confrontano i dati con quelli del 2007: in 15 anni in termini reali la contrazione complessiva dei redditi familiari è stata pari in media al -7,2% con punte del -10,8% nel Centro e del -10,2% nel Mezzogiorno. Numeri che, purtroppo, ancora una volta confermano gli allarmi lanciati a più riprese dal Codacons circa gli effetti del caro-prezzi sulle tasche degli italiani e sull’economia nazionale».


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