Boschi di montagna, l’allarme: 11 milioni di ettari ma spesso abbandonati (Foto Pixabay)

In Italia ci sono 11 milioni di ettari di superficie coperti da boschi ma in gran parte questi sono abbandonati. I boschi di montagna possono contrastare frane e inondazioni, e contenere il rischio idraulico, ma versano in uno stato di abbandono. È l’allarme lanciato in un recente convegno dall’Accademia Nazionale di Agricoltura e dai Carabinieri Forestali.

“Incrementare la presenza di boschi ben conservati, capaci di funzionare alla stregua di vere e proprie “spugne naturali”, contribuirebbe a regolare il deflusso delle acque ed a ridurre l’erosione dei suoli – affermano –È tempo di pensare alla stesura di un testo unico nazionale sul dissesto idrogeologico, che sappia valorizzare ed incentivare la gestione del territorio montano anche come utile strumento per salvaguardare le zone vallive e di pianura”.

Il dissesto idrogeologico in Italia

Le alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana hanno richiamato l’attenzione su alcuni dei problemi più contingenti e gravi del Paese: il dissesto idrogeologico e la mancanza di una adeguata pianificazione territoriale capace di far fronte ai distruttivi fenomeni alluvionali indotti dal cambiamento climatico.

La situazione idrogeologica nazionale è allarmante: “ben 7.423 comuni italiani (93,9% del totale) sono a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera – informa una nota congiunta – Complessivamente il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media. Sono 2 milioni gli abitanti a rischio frane (2,2%) e 7 milioni quelli a rischio alluvioni (11,5%). Ben l’83% delle frane europee si trovano in Italia (fonte ANBI-ISPRA)”.

Di fronte a questa situazione, servirebbe allora abbandonare la logica degli “interventi mirati” per potenziare, invece, in una visione d’insieme, le forme di pianificazione territoriale su larga scala.

“Si rende auspicabile puntare ad un nuovo grande quadro di interventi di sistemazione dei bacini montani che, ponendo al centro la gestione sostenibile dei boschi e delle foreste, possano garantire la stabilità dei versanti nella fascia collinare e montana e, al contempo, contenere il rischio idraulico in quella basale – proseguono i promotori del convegno – I boschi e le foreste, infatti, si comportano alla stregua di vere e proprie “spugne naturali”, capaci di drenare il deflusso delle acque meteoriche e di ridurre notevolmente il fenomeno del ruscellamento verso valle (che è colpevole dell’aumento delle portate dei fiumi in pianura)”.

Da soli boschi e foreste non possono risolvere il dissesto idrogeologico, ma rappresentano comunque un valido strumento di aiuto. Il bosco, inoltre, è capace di ridurre anche l’erosione del terreno.

La riforestazione e l’abbandono della montagna

In Italia la riforestazione ha visto un notevole incremento dal 1950 in poi: in circa 70 anni, il paese è passato da 4 a 11 milioni di ettari coperti da boschi, che si estendono, soprattutto, nei territori montani e collinari, apportando un sensibile aumento della biodiversità. Allo stesso tempo negli ultimi cinquant’anni c’è stato anche un progressivo e costante abbandono della montagna. I boschi non sono più stati curati con regolarità. Gli eventi atmosferici degli ultimi anni “consigliano”, nuovamente, di portare la montagna al centro delle politiche ambientali e di gestione del territorio, anche per tutelare la sicurezza idraulica a valle e in pianura.

Ha detto il Prof. Giorgio Cantelli Forti, Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura: «Propongo un testo unico contro gli effetti del cambiamento climatico e il dissesto idrogeologico, a tutela dell’ambiente e del territorio, in particolare la montagna, che sia al di sopra di tutto. Tutti gli interlocutori e gli addetti ai lavori devono sedersi intorno a un tavolo per contribuire ad avere una nuova riforma del territorio e dell’ambiente. Il dissesto idrogeologico è anche una conseguenza di comportamenti errati dell’uomo quindi ripristinare i luoghi è sicuramente importante, ma dobbiamo lavorare prima sulla prevenzione, accettandone anche i sacrifici. Nel prossimo futuro le emergenze mondiali saranno la siccità e la mancanza di suolo».


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