Giornata contro la violenza sulle donne, fare rumore per rompere tutti gli schemi
Giornata contro la violenza sulle donne: non bisogna più celebrare. Non bisogna più stare in silenzio
In silenzio per Giulia? No. In rumore per Giulia Cecchettin. Perché il silenzio non serve più e non servono neanche (semmai siano servite) le celebrazioni istituzionali e istituzionalizzate che ricordano la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Non bisogna più celebrare. Non bisogna più stare in silenzio. Ce lo ha ricordato con un pugno allo stomaco il femminicidio di Giulia Cecchettin, che aveva tutta la vita davanti e che è stata accoltellata e buttata in un canalone dall’ex compagno.
Bisogna rompere gli schemi. Rompere gli schieramenti. Rompere gli strati calcificati di retorica per arrivare al cuore delle cose e dargli un nome. Violenza maschile. Patriarcato, come ha ricordato con lucidità Elena Cecchettin. Riproposizione di schemi di potere che non tollerano la donna libera e autonoma. “Fragilità” maschile che non diventa richiesta di aiuto ma impalcatura sulla quale si costruisce una violenza efferata e senza fine.
Possesso. Sì, quanto hanno a che fare col possesso – “è cosa mia, è la mia donna, sono i miei bambini” – tutte queste violenze e sopraffazioni e tutti i femminicidi che uccidono le donne perché donne e devastano le famiglie. Bisogna rovesciare tutto, perché gli schemi nei quali ci muoviamo sono incrostati di violenza, incancreniti, vecchi, scritti da mani e menti che non ci rappresentano – non in quanto donne, non in quanto persone del ventunesimo secolo.
Non c’è via d’uscita nella retorica. Non c’è via d’uscita nel minuto di silenzio che giustamente molti licei hanno trasformato in rumore. Non c’è via d’uscita nelle proposte di rinnovo fatte per la scuola, dove si studia la Creazione secondo la Bibbia già in seconda elementare o si portano i bambini in gita in qualche aeroporto militare ma non si educa all’affettività e alla sessualità. Non che tutto passi dalla scuola. C’è la scuola, indietro nel tempo. Ci sono le famiglie con i loro carichi di lavoro tutti sbilanciati. Ci sono le retribuzioni delle donne inferiori a quelle degli uomini. Ci sono le lenti deformate dell’informazione che vorrebbe plasmare l’opinione pubblica ma non ne rappresenta neanche una piccola parte. C’è una classe politica drammaticamente impreparata, incapace, reazionaria, avvolta su se stessa e sulla protezione dei propri interessi e di quelle delle lobby che la sostengono.
La Giornata contro la violenza sulle donne ci deve ricordare che bisogna rompere il silenzio, anche quello che si vorrebbe silenzio di rispetto. Bisogna rompere gli schemi, quelli che rimandano a ogni forma di violenza e sopraffazione. La violenza contro i bambini vittime innocenti delle guerre. La violenza delle disuguaglianze alimentate dalla differenza di ricchezza e di possibilità sociale. Rompere un arretrato comune sentire per arrivare a un sentire più giusto e più comune. Più umano.