Orfani di femminicidio, Con i Bambini: nel 36% dei casi i bambini erano presenti
Non ci sono stime ufficiali su quanti siano gli orfani delle vittime di femminicidio in Italia, dice l’associazione Con i Bambini, che sta seguendo diversi orfani. E rivela: nel 36% dei casi i bambini erano presenti durante l’uccisione della mamma
Orfani di femminicidio, bambini sopravvissuti alla violenza ma anche orfani due volte, vittime di un lutto senza fine, di un dolore cronico. Non ci sono stime ufficiali su quanti siano gli orfani delle vittime di femminicidio in Italia, dice l’associazione Con i Bambini, che sta seguendo diversi orfani di femminicidio nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile e dei progetti “A braccia aperte“, iniziativa di sistema e a supporto delle famiglie affidatarie.
Sono iniziative che servono anche a conoscere questa realtà complessa, traumatica e sommersa. E uno degli aspetti scoperti è che nel 36% dei casi i bambini erano presenti durante l’uccisione della mamma.
Gli orfani di femminicidio
Gli orfani di femminicidio sono “orfani speciali”, così viene detto in gergo, perché la perdita di uno dei genitori è avvenuta per mano di un coniuge. “Ma sono doppiamente orfani – spiega Con i Bambini – perché la perdita della madre per mano del padre significa anche che l’altro genitore non ha più contatti con i bambini e questi, divenuti maggiorenni e consapevoli dell’accaduto, quasi sempre non vogliono più vederli”.
«La tragedia dei femminicidi purtroppo non finisce – ha ricordato Marco Rossi-Doria presidente di Con i Bambini – Siamo tutti colpiti da questa condizione terribile. Centinaia di bambini e ragazzi vivono una situazione difficile, fortemente traumatica: la mamma viene uccisa spesso davanti ai loro occhi dal padre, che finirà i suoi giorni in prigione o si suiciderà come spesso accade. I bambini sono orfani due volte, perdono madre e padre in un solo momento anche perché chi resta in carcere difficilmente vede i propri figli. A crescere gli orfani di femminicidio sono i parenti di prossimità: nonni, zii, che però, nei fatti, non godono ancora, purtroppo, di costanti azioni di prossimità che le politiche pubbliche si ripromettono da tempo di attuare e vengono lasciati soli ad affrontare un dramma così grande che ha bisogno di un’attenzione specializzata, così come di supporto burocratico, economico, organizzativo, legale, ecc.. E poi c’è la vita che deve ricominciare: gli studi, il lavoro e la necessità di curare la ferita profonda che è dentro di sé».
L’associazione Con i Bambini grazie al Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile segue ragazzi e i bambini rimasti orfani a causa dell’uccisione della madre sperimentando così un modello di intervento personalizzato.
Sono 157 gli orfani presi in carico dai quattro progetti finanziati da Con i Bambini. È un dato variabile perché altri 260 in tutta Italia sono stati già agganciati dai partenariati gestori, e a breve inizieranno anch’essi un percorso di sostegno e accompagnamento con le loro famiglie. Il progetto Orphan of Femicide Invisible Victim segue il Nord Est, mentre nel Nord Ovest opera il progetto S.O.S. – Sostegno Orfani Speciali. Nel Centro Italia è attivo il progetto Airone, al Sud RESPIRO – Rete di Sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli orfani speciali.
Qualche giorno fa l’associazione ha presentato una prima analisi sulla realtà di questi bambini e ragazzi. La percentuale più alta di orfani accompagnati riguarda il Sud, al momento (ottobre 2023) ci sono 100 orfani presi in carico grazie al progetto Respiro. Ma il dato è fortemente in crescita.
Per il 74% l’età di ingresso nel progetto è tra i 7-17 anni, per il 17% l’età è compresa tra 18-21 anni e per il rimanente 8% l’età è inferiore a 6 anni. Di questi, il 56% sono di sesso maschile e il 43% femminile (1% non specificato). Il 95% dei beneficiari presi in carico ha la cittadinanza italiana, solo il 5% ha cittadinanza di altri paesi UE o extra-UE.
Un impatto psicologico devastante
Sono bambini che in oltre un terzo dei casi erano presenti quando la mamma è stata uccisa.
Spiega Con i Bambini: “Nel 36 per cento dei casi i bambini erano presenti al momento dell’evento. Questo elemento ha conseguenze che condizioneranno ancor più pesantemente gran parte della vita. I minori che diventano orfani a seguito di tali tragici eventi subiscono un impatto psicologico devastante, il quale inevitabilmente influisce negativamente sulla loro sfera emotiva e relazionale. Le conseguenze psicologiche creano una vera e propria sindrome denominata child traumatic grief. Il bambino, sopraffatto dalla sofferenza e dalla reazione al trauma, diviene incapace di elaborare il lutto, trovandosi intrappolato in uno stato di dolore cronico”.
Il 13% degli orfani presenta forme di disabilità precedenti al trauma: tra le più comuni vi sono disabilità intellettive e relazionali e un ulteriore 8% presenta Bisogni Educativi Speciali (BES), disturbi evolutivi specifici o disturbi psichici.
Il 42% degli orfani di femminicidio vive oggi in una famiglia affidataria, il 10% vive in comunità e il 10% con una coppia convivente. Solo il 5% è stato dato in adozione e vive con una famiglia adottiva.
L’83% delle famiglie dei beneficiari arriva a fine mese con grande difficoltà, spesso per la necessità di circondarsi di professionisti e specialisti per supportare i bambini, come emerso dalle interviste a chi si prende cura del minore. Gli spazi della famiglia sono però nella maggior parte dei casi adeguati e i nuclei sono composti dalle 3 alle 5 persone, bambini compresi.
In oltre sei casi su dieci c’erano elementi di vulnerabilità in famiglia, prima del femminicidio. Ci sono fattori e campanelli d’allarme quali la violenza assistita psicologica, che è stata segnalata in 50 casi su 70. Nei casi di femminicidio presi in carico dai progetti di Con i Bambini, emerge poi quel dato immane sulla presenza al momento del femminicidio. Non sempre i bambini assistiti erano consapevoli della verità e in diversi casi è stato grazie al supporto del progetto che le famiglie affidatarie hanno accettato di raccontare la verità rispetto all’accaduto. Da altre interviste è emerso che i professionisti che all’inizio avevano seguito le famiglie avevano al contrario consigliato di non dire la verità, o non erano in grado di gestire le emozioni durante i colloqui, spiega Con i Bambini.