Catalogare gli alimenti con un bollino – verde, giallo e rosso – è una misura efficace a diffondere una corretta abitudine alimentare e a contrastare l’obesità? Si può semplificare senza confondere? Non c’è dubbio che la scelta inglese di introdurre l’etichetta nutrizionale a semaforo fa molto discutere in Europa dove l’Italia capeggia il fronte del “no” preoccupata dell’impatto che l’etichetta potrebbe avere sull’esportazione del nostro patrimonio alimentare. Fa discutere anche entro i nostri confini e per fare chiarezza Il Salvagente in edicola domani ospita le posizioni di chi è favorevole – Altroconsumo – e di chi, invece, è contrario – Movimento Difesa del Cittadino. Qui le pubblichiamo integralmente.
Luisa Crisigiovanni – Direttore di Altroconsumo
La questione dell’etichettatura di cui si dibatte è trattata dal regolamento UE 1169/2011. Il sistema di informazione nutrizionale semplificato che, sul fronte della confezione, avrebbe potuto indicare in maniera rapida al consumatore le caratteristiche nutrizionali dell’alimento, suggerendogli l’opportunità di un suo eventuale consumo, non ne fa tuttavia parte. Alcuni Stati membri, che avevano già prodotto delle etichette semplificate, come appunto i semafori in Gran Bretagna, hanno continuato a usarli come misura volontaria. Tutto questo, in un momento in cui lo spirito dei padri fondatori dell’Unione europea scricchiola, si è ben presto trasformato in una guerra commerciale, in uno scontro Nord contro Sud, dove a perdere pare essere l’Europa.
La verità è che il semaforo fa paura perché funziona: finalmente i consumatori, con questo strumento, riescono a capire cosa significa l’indicazione nutrizionale relativa alle quantità di zucchero, sale e grassi e a orientare il proprio comportamento alimentare, di conseguenza per limitare l’eccesso di peso, o per non eccedere oltre con colesterolo, trigliceridi e zuccheri, come suggerito dal medico. Ne è un pratico esempio il calcolatore sugli snack on line sul sito di Altroconsumo dallo scorso 27 settembre, che ha collezionato 56.392 visite. L’obesità e le epidemie correlate a un eccesso di grassi, zucchero e sale nell’alimentazione non si combattono, infatti, con un solo strumento.
Questo era lo spirito di Guadagnare Salute, iniziativa promossa dall’allora ministro Livia Turco su spinta dell’Oms che riteneva di dover combattere l’obesità, soprattutto quella infantile, trattandola come un’epidemia. Oltre all’attività fisica, alle scale fatte a piedi, bisogna rendere i consumatori consapevoli e permettere loro di scegliere gli alimenti comprendendo quello che essi realmente sono. Tra gli scaffali dei supermercati non si ha il tempo di comparare le etichette e sono in pochi ad avere le competenze per comprendere esattamente le indicazioni nutrizionali sul retro delle confezioni. Gli stili di vita sono mutati e l’alimentazione fuori casa è diventata preponderante, ma nessuno di noi sa esattamente quanto apporta il pranzo consumato in mensa, al bar o al ristorante.
Se dobbiamo tener sotto controllo qualcosa (calorie, grassi, zucchero) andiamo a naso nello scegliere perché non ci viene detto nulla dei valori nutrizionali presenti. Se si danno indicazioni comprensibili, almeno sul contenuto dei nutrienti più controversi, chi ha motivo per farlo modifica il suo comportamento, è stato anche accertato dal progetto di ricerca europeo Eatwell.eu. Evidentemente fa paura che i consumatori possano scegliere da sé come alimentarsi. Chissà se il governo Renzi avrà il coraggio di rivedere la posizione dell’Italia e consentire ai cittadini di scegliere cosa mettere nel carrello anche grazie a un semaforo.
 
Antonio Longo – Presidente del Movimento difesa del Cittadino
Prima di decidere se siete a favore o contro il sistema delle etichette-semaforo, ponetevi tre domande. Mars, Nestlé, Pepsi… vi fidereste di indicazioni nutrizionali fornite da queste sigle? Tra 25 grammi di parmigiano reggiano e una confezione di Philadelphia light, credete che questa sia più salutare per la dieta di un bambino? Accettereste lezioni di educazione alimentare da chi ha fatto scoppiare lo scandalo di “mucca pazza”?
Se avete risposto sì alle tre domande, allora siete pronti ad accettare le etichette-semaforo. Mars, Nestlé e Pepsi sono tra le sigle che hanno abbracciato subito il sistema lanciato un anno fa dal governo inglese e accettato con entusiasmo dalle principali catene commerciali, come Tesco. E dietro la proposta del “semaforo” c’è un clamoroso (voluto?) errore di fondo: il colore rosso che segnala l’alimento pericoloso viene determinato dal calcolo di grassi, zucchero e sale contenuti in 100 grammi di prodotto. Ma chi mangerebbe 100 grammi di parmigiano o condirebbe un’insalata con 100 cc di olio d’oliva?
Così vengono colorati di rosso-pericolo quegli alimenti che invece costituiscono la base di ogni dieta sana, come quella mediterranea; vengono colpiti prodotti come i formaggi vanto della tradizione contadina, che la sapienza millenaria ha creato, favorendo invece col verde-light quei prodotti della trasformazione industriale che sono di dubbia composizione o di pessimo gusto. La dieta mediterranea per i soloni di Oltremanica diventa a rischio, dopo aver ottenuto il massimo riconoscimento della salubrità dall’Unesco!
Diventa grottesco poi lo sfruttamento dell’obesità infantile, vero dramma in aumento in tutti i paesi sviluppati, soprattutto anglosassoni, ma anche in molte regioni italiane. In realtà agli inglesi della dieta dei bambini obesi importa molto poco. Come poco, anzi nulla importò al governo della Thatcher della salute dei suoi sudditi e di tutti gli europei quando nascose al mondo per mesi la tragedia delle mucche pazze, provocando più di 200 morti innocenti per i quali nessuno ha pagato e sconvolgendo per anni le abitudini alimentari di tutta l’Europa. La Gran Bretagna non aveva alcun controllo veterinario e il suo governo era preoccupato solo delle conseguenze commerciali che ci sarebbero state dopo la rivelazione al mondo dei gravissimi casi di encefalopatia spongiforme causati dagli animali infetti.
La logica del semaforo non dice nulla sulla quantità da mangiare o da evitare, non tiene conto se chi mangia è un bambino di 5 anni o un adulto di 30, una donna incinta o un atleta, un diabetico o un iperteso. È come dire che prendere il sole fa male o fa bene, senza specificare il tempo di esposizione, in quali ore del giorno, eventuali controindicazioni legate all’età o alla sensibilità dell’epidermide o alla presenza di allergie. Insomma, non c’è alcun metodo scientifico dietro questi tre colori.
Il Beuc, l’organizzazione europea dove è presente per l’Italia Altroconsumo, ha sposato le tesi inglesi. Non stupisce più di tanto, considerando che spesso le posizioni vincenti nel Beuc sono quelle anglosassoni. Non perché siano meglio motivate, ma per i rapporti di forza interna. Il fatto è che si tratta di una multinazionale dell’editoria consumerista, tecnicamente preparata ma con molte componenti del tutto avulse dalla realtà quotidiana delle famiglie e delle persone, perché non presenti sul territorio, con un call center e alcune riviste che ripetono nei vari paesi gli stessi test.
I consumatori italiani devono reagire e farsi sentire anche a Bruxelles. L’obesità infantile è un problema troppo serio per farlo risolvere con un semaforo a governi di paesi che in questi decenni hanno mostrato di essere sensibili soprattutto al colore dei soldi.


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