Il trattamento di dati personali fatto durante una predicazione porta a porta deve rispettare le norme del diritto europeo sulla protezione dei dati personali. E dunque la comunità religiosa che fa predicazione porta a porta, come quella dei Testimoni di Geova e dei suoi predicatori, è responsabile del trattamento dei dati personali raccolti durante la sua attività, come quelli che riguardano le famiglie visitate e il loro orientamento religioso. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione europea, chiamata a pronunciarsi su un caso sollevato in Finlandia e relativo al trattamento dei dati fatto dai testimoni di Geova.

cgueNel 2013 la Commissione finlandese per la protezione dei dati ha vietato alla Comunità dei testimoni di Geova in Finlandia di di raccogliere o trattare dati personali, nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta effettuata dai suoi membri, senza che siano soddisfatti i requisiti legali per il trattamento di questi dati. Durante la predicazione porta a porta, i membri della comunità come promemoria prendono appunti sulle visite fatte alle persone, su nomi e indirizzo, sul credo religioso, sulla situazione familiare, senza che gli interessati abbiano dati un consenso e ne siano informati. Le congregazioni della comunità terrebbero un elenco delle persone che hanno espresso la volontà di non ricevere più visite. E i dati personali di questo elenco sarebbero usati dalla comunità. La Corte amministrativa suprema finlandese ha chiesto dunque alla Corte di Giustizia se la comunità debba rispettare le norme europee in materia di protezione dei dati personali, per il fatto che i suoi membri, durante la predicazione porta a porta, possono essere indotti a prendere appunti trascrivendo il contenuto del loro colloquio e, in particolare, l’orientamento religioso delle persone che hanno visitato.

Oggi la Corte rileva prima di tutto che “l’attività di predicazione porta a porta dei membri della comunità dei testimoni di Geova non rientra tra le eccezioni previste dal diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali” e non rappresenta un’attività esclusivamente personale o domestica. I dati trattati manualmente sono destinati a un archivio? Questo il secondo passaggio esaminato della Corte. E la Cgue ha concluso che “la nozione di «archivio» include ogni insieme di dati personali raccolti nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta e contenente nomi, indirizzi e altre informazioni riguardanti le persone contattate porta a porta, dal momento che tali dati sono strutturati secondo criteri specifici che consentono, in pratica, di recuperarli facilmente per un successivo impiego. Affinché detto insieme rientri in tale nozione, non è necessario che esso comprenda schedari, elenchi specifici o altri sistemi di ricerca”. I trattamenti di dati personali fatti nell’ambito di una predicazione porta a porta, conclude la Corte, “devono quindi rispettare le norme del diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali”.

La responsabilità del trattamento va di fatto estesa all’intera comunità religiosa. Per la Corte, dunque, “il diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali consente di considerare una comunità religiosa, congiuntamente ai suoi membri predicatori, quale responsabile del trattamento dei dati personali effettuato da questi ultimi nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta organizzata, coordinata e incoraggiata da tale comunità, senza che sia necessario che detta comunità abbia accesso a tali dati o che si debba dimostrare che essa ha fornito ai propri membri istruzioni scritte o incarichi relativamente a tali trattamenti”.


Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!



Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella per confermare l'iscrizione
Privacy Policy

Parliamone ;-)