Perché non esistono protocolli universalmente riconosciuti per eseguire test sugli effetti a lungo termine degli OGM? Se lo domanda Greenpeace sulla scia del parere pubblicato ieri dall’Efsa, secondo cui i risultati dello studio del ricercatore francese Seralini (che ha dimostrato la tossicità del mais NK603 della Monsanto con cui sono state nutrite circa 200 cavie) sono scientificamente insufficienti.
E allora perché ancora non abbiamo norme comunitarie per la sperimentazione sugli effetti a lungo termine? Greenpeace ricorda che tutti gli OGM attualmente consumati dai consumatori (e dagli animali) nell’Unione europea sono stati approvati sulla base di test, di durata compresa tra 28 e 90 giorni, effettuati dalle stesse aziende biotech che ne chiedono la commercializzazione. “Questo non è assolutamente sufficiente per identificare i problemi che possono emergere durante l’arco della vita di uomini e animali o delle generazioni future – afferma l’associazione ambientalista –  L’attuale sistema europeo di valutazione dei rischi degli OGM comporta carenze inaccettabili, che in gran parte portano ad ignorare i potenziali impatti a lungo termine per salute e ambiente”.
Secondo Greenpeace questo è un motivo in più per bloccare l’approvazione di nuovi OGM. “L’Ue deve ridisegnare completamente le procedure di valutazione della sicurezza in modo da verificare sistematicamente gli impatti a lungo termine – dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna OGM di Greenpeace Italia – L’Efsa riconosce che è fondamentale adottare una metodologia adeguata per una seria ricerca scientifica, ma omette di menzionare il fatto che attualmente non esistono metodi concordati e riconosciuti  per effettuare studi sull’esposizione a lungo termine al cibo OGM. Questa è la ragione per cui metodologie adeguate devono essere sviluppate e lo studio francese dovrebbe essere replicato in base a questi metodi concordati”.
 


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