Climate Pride, sabato in piazza per la giustizia climatica
Mobilitazione nazionale per chiedere alla COP 29 un impegno concreto per la transizione ecologica. Sabato 16 novembre a Roma il Climate Pride per la giustizia climatica
Il Climate Pride scende in piazza a Roma per la giustizia climatica. Giustizia climatica che si accompagna alla giustizia sociale. E alla necessità di garantire adeguate risorse ai paesi e alle popolazioni più colpite dalla crisi climatica. Non solo. La piattaforma chiama alla mobilitazione perché gli esseri umani sono interconnessi con tutti gli altri esseri viventi. Tutelare la Natura significa dunque difendere il benessere di tutti.
Climate Pride contro le ingiustizie
Il Climate Pride è una mobilitazione di lotta per il clima che scenderà in piazza sabato 16 novembre a Roma, in piazza Vittorio, contando sull’adesione di oltre 50 associazioni e movimenti della società civile. È anche occasione per chiedere alla Cop29 in corso a Baku un impegno concreto per la transizione ecologica.
L’evento, spiegano infatti gli organizzatori, “si inserisce in un contesto di mobilitazioni globali durante la COP29 in Azerbaijan, con l’obiettivo di esercitare una forte pressione affinché i leader mondiali adottino finalmente politiche ambiziose e concrete per combattere il cambiamento climatico e fare fronte alla perdita di biodiversità”.
Il cambiamento non può aspettare. Ma se le azioni climatiche già sono insufficienti, non fa certo ben sperare l’affermazione delle politiche negazioniste sul clima che minacciano gli obiettivi sul clima e che si accompagnano alla nuova presidenza statunitense.
Il Climate Pride chiede “un cambio di rotta radicale nelle politiche energetiche e ambientali” e di evitare le conseguenze disastrose della crisi climatica e della perdita di biodiversità.
Sarà un’occasione per tornare a chiedere di abbandonare il modello di sviluppo basato sui combustibili fossili, responsabile di conflitti mondiali e ingiustizia sociale.
“Le tensioni socio-economiche come razzismo, sessismo, abilismo e disuguaglianze sono aggravate dagli effetti del cambiamento climatico, in un circolo vizioso che acuisce le ingiustizie e le vulnerabilità preesistenti”, spiegano i promotori del Climate Pride.
L’evento, che si svolge in nome e insieme a tutte le specie, vuole “ribaltare la fallimentare e pericolosa narrazione antropocentrica, che vede la Terra come una risorsa infinita da sfruttare, promuovendo invece una visione multispecie armoniosa e inclusiva che mette al centro la giustizia climatica”.
Climate Pride, la giustizia climatica va insieme alla giustizia sociale
“La giustizia climatica non può che essere accompagnata dalla garanzia di una giustizia sociale: contro chi vorrebbe aumentare il divario tra i paesi e mantenere in piedi il ricatto tra lavoro e transizione ecologica è necessario incrociare le nostre istanze, cercare alleanze e convergenze tra i movimenti – si legge nella piattaforma delle richiesta – È ormai indispensabile capovolgere il sistema, interrompere l’azione antropica forsennata che devasta l’ambiente così come le nostre vite. Chiamiamo a raccolta alleate per costruire nuove connessioni verso un mondo che sia realmente sostenibile per tutte le specie, in un’ottica transfemminista e anticoloniale, contro ogni guerra. Ci mobilitiamo durante la COP29, che per il secondo anno di fila si tiene in un paese che non solo fonda la sua economia sulla produzione di combustibili fossili ma mira ad aumentarla di oltre il 30% nel prossimo decennio, l’Azerbaijan”.
Climate Pride e Cop29
La giustizia climatica richiama poi le discussioni in corso alla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si appena aperta a Baku.
La richiesta: “La COP29, se vuole salvaguardare la vita nel pianeta, deve garantire adeguate risorse finanziarie ai Most Affected People and Areas (MAPA), le persone e i territori più colpiti dalla crisi climatica, per accelerare una giusta transizione ecologica globale veramente in grado di superare la crisi climatica e contenere il surriscaldamento del Pianeta entro la soglia critica di 1,5°C. Come proposto dall’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS), servono almeno 1.000 miliardi di dollari l’anno (di cui 400 per loss&damage e 300 sia per l’adattamento che la mitigazione) di sole risorse pubbliche da parte dei Paesi industrializzati”.