Canone Rai su computer, Twitter non perdona
Che sia uno degli oboli meno compresi e più mal sopportati non è una novità. Così la richiesta di pagamento del canone Rai per “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”, fatta dall’azienda a professionisti e imprenditori, ha suscitato da subito un mare di polemiche prontamente rimbalzare sui social network. Venerdì la denuncia di Rete Imprese Italia insieme a una variegata platea di destinatari ha posto subito il caso all’attenzione dei media. Ora è la volta di Twitter, dove si è riversata la protesta degli internauti, fra denuncia e sarcasmo.
L’hashtag #raimerda è già tutto un programma e, coerentemente con la veracità espressiva dei social network , non lascia adito a dubbi e a filtri: è qui che si sta concentrando la protesta via Twitter, subito salita in vetta alla classifica italiana degli argomenti più di tendenza nel “cinguettio” digitale. La protesta è animata da ironia e sarcasmo, e i tweet non si risparmiano.
Fra alcuni dei messaggi si può leggere in ordine sparso (non citiamo gli autori ma sono tutti sul social network): “Ma è uno scherzo di carnevale?”, “Ma veramente la Rai pensa che qua si usi il Pc per guardare i suoi programmi idioti invece che per lavorare?”. C’è il filone delle richieste ironiche: “Ho un #Commodere64, devo pagare il #canone rai?; “Possiedo un Game Boy e un Super Nintendo,devo pagarci il canone Rai?”; “Non guardate i televisori nei negozi, potrebbero chiedervi il canone”, e la variante “ma se non la guardo in tv figurati se vado a guardarla sullo smartphone”. Oppure la sferzata d’epoca: “Ho una tavoletta d’argilla del 300 a.c. ci devo pagare il canone perché potrei accedere a rai.tv”. O anche, per ribadire il concetto: “Guardo la rai solo dopo aver bevuto la vodka. Non bevo vodka”. La protesta contro il canone speciale intreccia l’ostilità verso l’obolo alla critica – Twitter fa della sintesi un punto di forza – verso la qualità dei programmi televisivi di mamma Rai. E non risparmia una considerazione laconica: “Siamo nel pieno dello sviluppo tecnologico…E ancora c’è qualcuno che ci fa pagare la “tassa sulla televisione”. Che paese triste”, si legge in un tweet.
Oggi è arrivata anche la presa di posizione di Asso-Consum che “ritiene assurda la richiesta di pagamento del canone inoltrata dalla Rai a molte aziende italiane. I destinatari delle ingiunzioni di pagamento non possiedono infatti un apparecchio televisivo, bensì un computer, che viene utilizzato come strumento di lavoro – spiega l’associazione – Il versamento del canone è stato sollecitato da parte della Rai non solo alle imprese che dispongono di un pc ma anche agli uffici che utilizzano altri strumenti che, potenzialmente, potrebbero ricevere il segnale, quindi smartphone, tablet e simili”.
Asso-Consum “chiede che il provvedimento venga immediatamente revocato e che i vertici Rai si concentrino piuttosto a combattere l’evasione del canone da parte di chi effettivamente possiede uno o più apparecchi televisivi. È dunque necessario che la Rai faccia marcia indietro su questo punto e che affronti anche al più presto un’altra questione: quella dell’esenzione del canone per i non vedenti. Ad oggi, infatti, la legge non prevede un esonero per gli invalidi ma, con ogni evidenza, pretendere il pagamento del canone da parte dei non vedenti è a dir poco irragionevole”. L’associazione chiede che almeno i non vedenti che compongono un nucleo monofamiliare vengano esentati dal versamento dell’imposta.
Il canone è comunque lo si veda un insulto alla democrazia: la Rai non è un servizio pubblico poiché se lo fosse il sostentamento tributario avverrebbe come per tutti i servizi pubblici, sanità, viabilità ecc, pagando una tassazione in proporzione al reddito e pagandola tutti, fruitori e non. In questo caso invece paga chi utilizza, quindi paga chi può e € 112 per chi prende 600 € al mese, spesso precario, solo, ecc è una cifra importante. Per i ricchi evasori del nostro paese una bazzecola. Quindi è una pagliacciata! Inoltre se fosse pubblico servizio non dovrebbe fare marketing, ma proporre esclusivamente produzioni di buona qualità, educative, informative. Invece insegue l’ascolto per ricavare profitto, e questo non significa qualità. Io sono favorevole ad un pubblico servizio libero, apartitico, che viva di pubblico finanziamento, erogato da tutti coloro che hanno un reddito, in proporzione allo stesso.