
Verso Rio+20, Legambiente: green economy è risposta alla crisi
L’economia verde crea lavoro. La green economy, individuata come strumento per uno sviluppo sostenibile per il pianeta, non è più e non è solo un’opportunità per il futuro: è una realtà e un volano di ripresa per l’economia. Allo stesso tempo, è uno strumento per tutelare l’ambiente, difendere il clima, realizzare una società più equa, che coniughi sviluppo (un nuovo sviluppo) e qualità della vita. Lo dimostrano una serie di esperienze concrete radicate nel territorio, dagli orti urbani agli edifici a consumo zero di energia, raccontate oggi da Legambiente in vista del summit Onu della prossima settimana.
Verso Rio+20, il Summit internazionale sullo sviluppo sostenibile che si svolgerà a Rio de Janeiro dal 20 giugno prossimo, Legambiente ha infatti organizzato l’evento “La forza dei territori” per raccontare alcune di queste esperienze e sottolineare l’importanza della green economy.
Sono storie italiane presentate nella mostra “Zone attive” inaugurata nelle scuderie di Palazzo Ruspoli a Roma. Qualche esempio: in Calabria, la Cooperative Fattoria della Piana, che raccoglie e trasforma il latte dei soci, ha installato pannelli fotovoltaici sui tetti delle stalle e si è dotata di un impianto per la produzione di biogas. In Campania si sta diffondendo l’esperienza degli orti urbani, spazi verdi rinaturalizzati e coltivati da anziani in pensione che producono melanzane, zucchine e peperoni biologici. In Liguria, ad Albenga, c’è la casa ecologica dei vigili del fuoco: 24 alloggi, tutta a consumi zero, con luci a led, ascensori a risparmio energetico e pannelli solari. Il Trentino Alto Adige è all’avanguardia per il cicloturismo.
Sono tutte storie che uniscono innovazione, bassa emissione di CO2, coesione sociale. Nell’attesa di sapere come andrà a finire il Summit internazionale – già si parla di documenti lunghissimi, preludio ad accordi difficili – l’evento di oggi intende ribadire l’importanza dell’economia verde quale fattore per uscire dalla crisi economica. Sostiene Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia: “La green economy in senso stretto, quella che comprende le attività industriali nel settore delle energie rinnovabili, nel ciclo dei rifiuti, nella gestione dell’acqua e del suolo, rappresenta una consistente realtà industriale. In Europa l’eco-industria vale, con un tasso di crescita annuale dell’8,3%, il 2,5% del Pil europeo”. Se poi si considera un’accezione più ampia, che comprenda ad esempio attività quali l’agricoltura biologica, si evidenzia come l’economia verde sia una realtà, non una prospettiva per il futuro. “La green economy – sostiene Bianchi – non è solo un investimento per il futuro ma è uno dei volani per consentire una ripresa rapida dell’economia”. Per non parlare di tutto il settore rappresentato dall’acqua, della gestione dei rifiuti, dal rischio idrogeologico e sismico, dalla mobilità urbana: qui “a parità di investimenti, le conversioni ambientali generano maggiore occupazione e maggiore domanda interna, perché maggiore è l’intensità di lavoro, anche qualificato, e minore l’importazione di beni dall’estero”.
I numeri raccolti da diverse ricerche dicono che gli occupati in Italia nel settore delle fonti rinnovabili sono già oltre 100 mila, potrebbero diventare 250 mila al 2020 o 600 mila considerando il settore dell’efficienza e della riqualificazione in edilizia. Nel 2011 il 38% delle assunzioni programmate è riconducibile alla sostenibilità ambientale. Nuove politiche pubbliche di conversione ambientale porterebbero a un aumento del lavoro e a un impulso economico ampio: nel settore dei rifiuti, un aumento del 20% del riciclo si tradurrebbe in oltre 15 mila posti di lavoro stabili; nella gestione del rischio idrogeologico, un pari investimento nella riqualificazione ambientale può generare il 10% di occupazione in più rispetto a quella di opere tradizionali.
Cosa serve per lo sviluppo della green economy in Italia? Seguendo la sintesi del responsabile di Ambiente Italia: politiche di investimento diverse, priorità chiare, un sistema di regole non penalizzanti, lo spostamento del carico fiscale dai redditi ai consumi, specialmente ai consumi di risorse. E amministratori diversi. Dunque, una politica diversa.
È un tema che ricorre negli interventi dei relatori. Se Pippo Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace, sottolinea che la green economy è un’opportunità, uno strumento per salvare il clima, e “la possibilità di cambiamento c’è ma manca la politica”, le carenze della classe dirigente e imprenditoriale tornano nelle parole di Francesco Ferrante, vice presidente di Kyoto Club e senatore del Pd. “Ci apprestiamo già a contestare che Rio si concluderà con un esito già scritto, perché siamo incontentabili”, ha esordito Ferrante in riferimento alle prime indiscrezioni che parlano già di un accordo da trovare su un documento lunghissimo, sottolineando però che bisogna guardare a quello che è cambiato in 20 anni, dal primo summit. Cosa è cambiato? Le questioni che riguardano ambiente e green economy sono entrate nel “senso comune della gente” e nell’opinione pubblica, mentre le tecnologie esistenti parlano di cose da fare subito. “L’innovazione tecnologica – spiega Ferrante – ha fatto talmente tanti passi avanti che offre opportunità reali e presenti, che non vanno più declinate al futuro”.
Diretta conseguenza di questa analisi è capire cosa ancora manchi all’Italia per cambiare decisamente rotta. “In Italia – spiega Ferrante – la forbice fra possibilità offerte dall’innovazione tecnologica, consenso fra la gente e scelte concrete è più ampia” rispetto ad altri paesi. Il che conduce direttamente a “una dura critica verso la classe dirigente, tutta: innanzitutto la politica, ma anche la rappresentanza degli imprenditori”. Invece, chiude Ferrante, “è questo il momento in cui spingere il pedale dell’acceleratore”.
Ora tutti guardano a Rio+20 e alla dimensione internazionale, sperando che si giunga a un accordo vero e ognuno faccia la sua parte.
di Sabrina Bergamini
twitter @sabrybergamini

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