Convenienza ecologica, bassa impronta di carbonio e valore ambientale saranno i prossimi riferimenti per scelte di consumo orientate alla difesa dell’ambiente e alla consapevolezza dell’impatto ambientale dei prodotti acquistati. Quanto costano una lampadina, una stampante, un menu vegetariano o uno a base di carne, in termini di emissioni di gas a effetto serra? Una risposta viene dal progetto di Legambiente “etichetta per il clima”. Con questa iniziativa, l’associazione da qualche tempo propone un’etichettatura volontaria di prodotto per informare i consumatori sul quantitativo di emissioni di gas climalteranti generate da prodotti o servizi durante una o più fasi del loro ciclo di vita.
“I consumatori hanno il potere reale di influenzare il mercato e le scelte produttive. Questa consapevolezza è molto cresciuta anche in Italia negli ultimi anni”: è la premessa del convegno ‘L’impronta ambientale dei prodotti’, organizzato oggi a Milano da Legambiente in collaborazione con IEFE-Bocconi e Ambiente Italia e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Rete Cartesio, che ha visto oltre 600 partecipanti e contenuti di livello internazionale. Nella giornata sono state confrontate esperienze internazionali diverse che hanno portato alla misurazione dell’impatto ambientale dei prodotti in termini di CO2, di acqua, di risorse consumate nel ciclo produttivo. Dal prezzo del prodotto si passa dunque a centrare l’attenzione anche al costo ambientale.
L’etichetta per il clima è una di queste esperienze, realizzata da Legambiente insieme ad alcune aziende che hanno aderito al progetto. Il sito viviconstile spiega: “Convenienza ecologica, low carbon cost e valore ambientale, ecco i futuri riferimenti per la spesa del consumatore. Le etichette ambientali volontarie, in particolare le impronte ambientali, nascono proprio con questa vocazione: offrire al consumatore maggiori informazioni per poter effettuare scelte d’acquisto più attente e responsabili. Lo strumento, però, rappresenta oggi anche un’efficace leva di marketing e un’opportunità d’innovazione per le imprese che vogliano comunicare il proprio impegno, verso il consumatore e verso l’ambiente”.
Tutto quello che viene prodotto e consumato ha un diretto impatto sull’ambiente, dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento dei rifiuti. E il costo ambientale di un prodotto può essere un elemento importante nelle decisioni di acquisto. “Oggi otto italiani su dieci sarebbero d’accordo a rendere obbligatoria l’indicazione delle emissioni di CO2 nelle etichette dei prodotti acquistati”, si legge sul sito viviconstile, che riporta le aziende aderenti al progetto. L’etichetta per il clima di Legambiente dichiara infatti l’impronta di CO2 di alcuni prodotti e servizi, dalla polpa di pomodoro alle stampanti, a seconda delle aziende che hanno aderito al progetto.
“Scopriamo così – dichiara Andrea Poggio, presidente della Fondazione Legambiente Innovazione – che il menu vegetariano proposto dall’Agriturismo Il Campagnino costa all’ambiente 1.060 grammi di CO2, mentre il menu di carne ben 8.350 grammi, otto volte di più. Di fianco al prezzo, potrebbe dunque comparire su qualsiasi prodotto, anche il costo ambientale. È quello che ha fatto Legambiente con l’istituto Ambiente Italia per una cinquantina di prodotti di 8 aziende, scoprendo così le emissioni di CO2 di diversi articoli, tra cui lampadine, passate di pomodoro, stampa di carta, meloni, adesivi per parquet, biscotti e imballaggi. Con queste aziende, inoltre, siamo stati pionieri della prima comunicazione ambientale sul prodotto rivolta al consumatore finale”.
C’è da considerare che l’impatto ambientale dei prodotti non è solo quello diretto della produzione: a questo si sommano impatti indiretti che partono dalla produzione/estrazione delle materie prime utilizzate, comprendono la logistica e la distribuzione, il consumo e il fine vita di un prodotto o la possibilità di rigenerarne le funzioni.
“Sono sempre più numerosi i cittadini che presterebbero attenzione ad un indicatore sintetico, un voto, un giudizio sulle conseguenze ambientali delle proprie scelte di consumo e della fruizione di servizi – ha detto Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente – Le aziende si assumano quindi la responsabilità di misurare l’impatto dei propri prodotti e di dichiararlo in un modo verificabile, così i cittadini che scelgono sulla base di tali dichiarazioni saranno consapevoli delle conseguenze ambientali che li coinvolgono”.
Nel frattempo, proprio dall’iniziativa che si è svolta oggi è arrivato l’annuncio che oltre 70 imprese leader del made in Italy hanno aderito al programma del Ministero dell’Ambiente per la certificazione ambientale dei prodotti. Come informa il Ministero, “imprese leader del Made in Italy nel mondo, grandi imprese nelle infrastrutture e nei servizi, piccole e medie imprese, grandi istituzioni, hanno aderito agli accordi volontari lanciati dal Ministero dell’Ambiente per promuovere la certificazione ambientale dei prodotti, dei sistemi di gestione dei processi industriali e delle attività produttive : da Pirelli a Gucci, da Antinori a Benetton, da COOP ITALIA alla società Autostrade, dall’Acqua San Benedetto a Gancia, da ILLY Caffè a TELECOM Italia, dall’Università Ca’ Foscari di Venezia a Tasca d’Almerita, da UNICREDIT all’Università Tor Vergata di Roma”.
“L’esperienza di questi anni – ha osservato il ministro Corrado Clini – suggerisce che i consumatori finali sono sempre più sensibili al valore ambientale delle proprie scelte, e questo dato sta orientando le imprese ad assumere in misura crescente la certificazione ambientale del ciclo di vita dei propri prodotti, come scelta volontaria e strategica per accrescere la competitività in mercati sempre più esigenti ed attenti ai valori ambientali.  Il governo italiano, dopo le iniziative già assunte per il sostegno alla “green economy”, deve prevedere misure specifiche per la promozione della certificazione ambientale sia attraverso il “green procurement” nel settore pubblico, sia attraverso incentivi fiscali. A questo fine dovrà essere utilizzato lo schema di delega fiscale, che all’art.15 prevede misure per la fiscalità ‘verde’”.


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