Le bonifiche dei siti contaminati presenti in Italia, da Nord a Sud, vanno a rilento: si tratta di 100 mila ettari di Siti di interesse nazionale (SIN) che sono contaminati e andrebbero bonificati. Non va invece a rilento il giro d’affari legato al risanamento ambientale, che viene stimato intorno ai 30 miliardi di euro fra soldi pubblici e privati, con risultati però inesistenti. E’ quanto emerge dal dossier “Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà?” presentato da Legambiente.
Dal 2001 al 2012 sono stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti, tra soldi pubblici (1,9 miliardi di euro, pari al 52,5% del totale) e progetti approvati di iniziativa privata (1,7 miliardi di euro, pari al 47,5% del totale), con risultati nulli se si considera il ritardo dell’Italia nella bonifica di tali siti. Si tratta di 39 SIN, cui si aggiungono altre aree derubricate da siti di interesse nazionale a regionale. Solo in 11 SIN è stato presentato il 100% dei piani di caratterizzazione previsti (è il primo step del processo di risanamento che definisce il tipo e la diffusione dell’inquinamento presente e che porta alla successiva progettazione degli interventi). Anche sui progetti di bonifica presentati e approvati emerge un forte ritardo: solo in 3 SIN è stato approvato il 100% dei progetti di bonifica previsti. In totale, sono solo 254 i progetti di bonifica di suoli o falde con decreto di approvazione, su migliaia di elaborati presentati.
“Sebbene i primi 15 SIN da bonificare furono identificati nel 1998, nonostante le risorse impiegate e le semplificazioni adottate, la situazione attuale è di sostanziale stallo – ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani – Caratterizzazioni e analisi effettuate in modo a volte esagerato e inefficace, progetti di risanamento che tardano ad arrivare e bonifiche completate praticamente assenti, a parte qualche piccolissima eccezione. Il Ministero dell’ambiente arranca, dietro alle migliaia di conferenze dei servizi e documenti, intanto i responsabili dell’inquinamento, pubblici e privati, ne approfittano per spalmare su più anni gli investimenti sulle bonifiche. Nel frattempo sono sempre più numerose le indagini sulle false bonifiche e sui traffici illegali dei rifiuti derivanti dalle attività di risanamento”.
Tutto questo nonostante i drammatici effetti sulla salute causati dalla concentrazione di inquinanti nell’ambiente. Il progetto Sentieri, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, conclusosi nel 2011 e in corso di aggiornamento, ha realizzato il profilo sanitario delle popolazioni residenti in 44 SIN: si va dall’eccesso di tumori della pleura nei SIN con l’amianto (Balangero, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit e Biancavilla) o dove l’amianto è uno degli inquinanti presenti (Pitelli, Massa Carrara, Priolo e Litorale Vesuviano), agli incrementi di mortalità per tumore o per malattie legate all’apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici (Gela, Porto Torres, Taranto e nel Sulcis in Sardegna). Emergono anche gli eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli pesanti e solventi organo alogenati (Trento nord, Grado e Marano e nel basso bacino del fiume Chienti).
Alle bonifiche è sempre più spesso legato il rischio di illegalità e di infiltrazione ecomafiosa, fenomeni che non riguardano solo le regioni del Sud Italia: il coinvolgimento del centro-nord come luogo di smaltimento illegale dei rifiuti speciali e pericolosi, spiega Legambiente, emerge da molti anni nello scacchiere dei traffici illeciti e lo stesso vale anche per le bonifiche, come dimostra anche la recentissima indagine su Pioltello (Mi), che ha portato all’arresto di due dirigenti di Sogesid e di altre quattro persone tra cui l’ex capo della segreteria tecnica dell’ex ministro Prestigiacomo, Luigi Pelaggi. In base alle elaborazione di Legambiente dal 2002 ad oggi sono state 19 le indagini su smaltimenti illegali di rifiuti derivanti dalla bonifica di siti inquinati (pari all’8,5% del totale delle indagini concluse contro i trafficanti di rifiuti), sono state emesse 150 ordinanze di custodia cautelare, sono state denunciate 550 persone e coinvolte 105 aziende.
A fronte di un fenomeno di tale portata, Legambiente ha presentato una decina di proposte fra le quali quella di garantire maggiore trasparenza sul Programma nazionale di bonifica, di stabilizzare la normativa italiana e approvare una direttiva europea sul suolo, di sostenere l’epidemiologia ambientale per praticare una reale prevenzione. Un’altra proposta chiede di fermare i commissariamenti, che anche sulle bonifiche dei siti inquinati si sono dimostrati un fallimento. L’associazione chiede inoltre di potenziare il sistema dei controlli pubblici, di introdurre i delitti ambientali nel codice penale e di applicare anche al mondo industriale il principio del “chi inquina paga”, promuovendo all’interno delle associazioni di categoria iniziative tese a escludere i soci che ricorrono a pratiche illecite nello smaltimento dei rifiuti, anche derivanti da operazioni di bonifica.


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