Sanità negata. Rinuncia alle cure per ragioni economiche, perchè non si hanno i soldi per pagarsi visite, esami e farmaci. Boom del ricorso alla sanità privata, prima di tutto per fronteggiare le lunghe liste d’attesa. Se per una visita cardiologica bisogna aspettare più di due mesi, è evidente che non si può andare per le lunghe e si mette mano al portafogli. Ma il risultato è che molti italiani si sono impoveriti, hanno fatto debiti con parenti, amici o banche. Oltre 12 milioni hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie per motivi economici. E il dato è in aumento.

È una fotografia impietosa quella che emerge dal Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute presentato oggi al «Welfare Day 2017». “In Italia ormai la sanità non è più per tutti”, dice il Censis, e questo non sembra più neanche un dato nuovo, considerata la contrazione dei diritti in sanità e la diffusione della povertà sanitaria che da tempo viene denunciata. Aumenta il ricorso alla sanità privata ma aumenta anche la sanità negata, quella che diventa inaccessibile perché le famiglie non hanno i soldi per pagarla, all’interno di una situazione di disparità crescenti fra le diverse sanità regionali.

Non si ferma il boom della spesa sanitaria privata, rileva il Censis: questa grava sulle spalle degli italiani per 35,2 miliardi di euro nel 2016, con un aumento del 4,2% in termini reali nel periodo 2013-2016 (un aumento maggiore della spesa totale delle famiglie per i consumi, pari a +3,4% nello stesso periodo). Spiega l’istituto: “La conseguenza sociale è un gorgo di difficoltà e disuguaglianze crescenti che risucchiano milioni di persone. Sono 13 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno sperimentato difficoltà economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie di tasca propria, 7,8 milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, e 1,8 milioni sono entrati nell’area della povertà”.

In questa situazione, la spesa sanitaria privata pesa di più su chi ha di meno, su chi vive in territori già disagiati e su chi ha più bisogno di curarsi. Fra i cittadini che hanno dovuto affrontare spese di tasca propria, infatti, hanno incontrato difficoltà economiche il 74,5% delle persone a basso reddito (ma anche il 15,6% delle persone benestanti), il 21,8% al Nord, il 35,2% al Centro, fino al 53,8% al Sud. E hanno avuto difficoltà il 51,4% delle famiglie con al proprio interno una persona non autosufficiente.

Una delle ragioni principali del ricorso al privato è l’esistenza di liste di attesa sempre più lunghe nel Servizio sanitario nazionale. Si aspetta troppo, si deve pagare il ticket, così molti cittadini rinunciano in partenza e pagano a tariffa intera nel settore privato. Basti pensare che per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni; per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni; per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro; per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro.

Con la riduzione della spesa sanitaria pubblica si estende l’area della sanità negata. Rispetto agli altri paesi, l’Italia conta meno risorse pubbliche per la sanità. La spesa sanitaria pubblica italiana vede infatti una riduzione del valore pro-capite dell’1,1% all’anno in termini reali dal 2009 al 2015: è questo il record segnalato dalla Corte dei Conti, mentre nello stesso periodo in Francia è aumentata dello 0,8% all’anno e in Germania del 2% annuo. L’incidenza rispetto al Pil della spesa sanitaria pubblica italiana è pari al 6,8%, in Francia si sale all’8,6% e in Germania si arriva al 9,4%. Il fronte degli italiani che rinunciano alle cure è sempre più ampio. Nell’ultimo anno è salito a 12,2 milioni il numero di persone che hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche. E sono 1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente, il 10,9% in più. Spiega il Censis: “Il miracoloso recupero di sostenibilità finanziaria del Servizio sanitario di tante Regioni non è stato indolore: meno copertura pubblica, a cui fa da contraltare il più alto ricorso alla sanità pagata di tasca propria. E a chi non ce la fa economicamente non resta che la rinuncia o il rinvio delle prestazioni”.

 

Notizia pubblicata il 07/06/2017 ore 17.14


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1 thought on “TopNews / Censis: sanità negata, oltre 12 mln rinunciano alle cure

  1. Riporto dal Web e… altri commenti???
    Da circa due anni Totò Riina non di fatto rinchiuso in carcere, ma ricoverato all’ospedale Maggiore di Parma. Il dettaglio non da poco era stato chiarito dal suo avvocato, Luca Cianferoni, durante la trasmissione L’aria che tira su La7, nel pieno del dibattito scatenato dalla sentenza della Cassazione sul diritto a “una morte dignitosa” per i detenuti. In attesa che il tribunale di sorveglianza di Bologna si esprima sull’eventuale scarcerazione, Riina resta in una sorta di stanza segreta della clinica universitaria di Parma, dove è ricoverato dal 5 novembre.
    Come riportato da Repubblica, la stanza di Totò ‘u Curtu è sostanzialmente una cella blindata, dove l’accesso è consentito solo a medici, infermieri e guardie. Ampia solo cinque metri per cinque, la stanza gode di un affaccio sulla città di Parma. Negli ultimi tempi il bosso avrebbe chiesto una radiolina e un calendario. Una richiesta che non potrà vedere soddisfatta, perché nella cella sono ammesse solo apparecchiature mediche.
    Il capo di Cosa Nostra è tenuto sotto stretta osservazione dai medici, a causa di diverse patologie che si sono aggravate nel corso degli anni. Al di là della “morte dignitosa” e del diritto a curarsi e non peggiorare le condizioni in carcere, che è un sacrosanto diritto costituzionale, stona un po’ che il boss sia così “coccolato”, mentre spesso e volentieri per un cittadino libero qualunque le liste di attesa negli ospedali pubblici sono lunghissime, spesso in edifici fatiscenti. Così come stona un po’ che un paziente le cui condizioni “sono ormai gravissime”, prenda parte ad ogni tappa processuale (in collegamento video in barella) e sia l’unico degli imputati o teste a non assentarsi mai, a non fermarsi per pranzare o bere.
    In ogni caso la permanenza di Riina nell’ospedale di Parma non ha turbato la vita della struttura. L’ordine è quello di passare inosservati. Niente militari in divisa, niente mitragliette in vista. Gli spostamenti senza sirene. Adesso il Capo dei capi è in attesa del colloquio con i familiari, previsto una volta al mese. Ma il regime del 41bis vale anche in ospedale. La visita avverrà a un metro di distanza e non saranno permessi contatti fisici. Sarà tutto videoregistrato. Per i magistrati, Totò Riina è ancora in grado di mandare messaggi, è ancora riconosciuto come capo di Cosa Nostra.

Parliamone ;-)

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