Pesca intensiva, studio rivela: un numero enorme di pesci diventa mangime
A livello globale si stima che vengano catturati ogni anno circa 1,1 – 2,2 trilioni di pesci, la maggior parte dei quali sono successivamente destinati a diventare mangime negli allevamenti intensivi
Uno studio pubblicato dalla rivista Animal Welfare condotto da Phil Brooke, responsabile della ricerca di Compassion in World Farming (CIWF) e co-autore insieme ad Alison Mood di Fishcount, svela una cifra impressionante: a livello globale si stima che vengano catturati ogni anno circa 1,1 – 2,2 trilioni di pesci, la maggior parte dei quali sono successivamente destinati a diventare mangime negli allevamenti intensivi.
Il dato più rilevante emerso dalla ricerca evidenzia che una eccessiva quantità di pescato è destinato a questa trasformazione in farina e olio per la produzione di mangimi.
Basti pensare che soltanto nel 2019, i pesci catturati in natura hanno costituito l’87% di tutti i vertebrati utilizzati per l’alimentazione umana o animale, secondo i dati calcolati dalle statistiche FAO. Circa la metà di tutti i pesci catturati, tra 490 e 1.100 miliardi, per lo più di piccole dimensioni, viene destinata a quest’uso negli allevamenti intensivi anziché che per l’alimentazione umana.
Interventi per contrastare spreco e violenza
L’autore dell’articolo Phil Brooke chiarisce le intenzioni e afferma: “Il nostro ultimo studio Fishcount mette in luce il numero impressionante di pesci selvatici catturati annualmente, con implicazioni etiche sia per le pratiche di pesca che per l’allevamento ittico. Innanzitutto, il benessere dei pesci catturati in natura, sia durante che dopo la cattura, è compromesso. Ogni singolo pesce – sia esso grande o piccolo – può provare dolore, proprio come gli altri animali, eppure durante la cattura viene sottoposto a terribili sofferenze e macellato senza stordimento. È necessario intervenire quanto prima”.
Affinché possano cessare queste violenze sugli animali a favore di un più corretto equilibrio tra produzione di cibo e consumo, lo scorso anno, l’organizzazione per la tutela degli animali e dell’ambiente ha pubblicato il rapporto “Rethinking Aquaculture: for people, animals and the planet”, evidenziando la necessità di abbandonare l’allevamento intensivo di pesci a favore di un’acquacoltura che si basi su specie più in basso nella catena alimentare, così da migliorare il benessere degli animali, ridurre l’inquinamento, limitare l’uso di antibiotici e promuovere un’industria più sostenibile.
di Aurora Cusumano