Crisi climatica, Climate Change Performance Index: Italia in stallo (foto pixabay)

L’Italia è in stallo nel contrasto alla crisi climatica. Rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e politica climatica inadeguata a fronteggiare l’emergenza fanno sì che l’Italia si collochi al 29° posto (in salita di solo una posizione) e al centro della classifica dal Climate Change Performance Index 2023, il rapporto sulla performance climatica dei principali Paesi del Pianeta redatto da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente per l’Italia.

Crisi climatica e impegni dei paesi

La domanda di fondo è: quanto sono seri i paesi nel contrasto alla crisi climatica e negli impegni che prendono? Anche quest’anno, evidenzia il report, nessuno Stato tra quelli considerati raggiunge le performance necessarie a contrastare la crisi climatica. Tanto è vero che le prime tre posizioni della classifica rimangono vuote.

Le performance analizzate nel rapporto annuale, presentato oggi alla Cop27 di Sharm el Sheikh, hanno come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030 e vengono misurate attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

Le prime tre posizioni della classifica sono vuote: significa, spiega Legambiente, che nessuno tra gli Stati presi in considerazione dal rapporto – 59 nazioni più l’Unione Europea nel suo complesso, rappresentanti il 90% delle emissioni climalteranti del globo – ha raggiunto le prestazioni necessarie a fronteggiare la crisi climatica e a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica di 1,5°C.

 

Climate Change Performance Index 2023

 

Climate Change Performance Index, la classifica

Uno sguardo alla classifica dice che in cima ci sono i paesi scandinavi. Danimarca e Svezia si posizionano rispettivamente al quarto e quinto posto, soprattutto grazie al loro impegno per l’abbandono delle fonti fossili e nello sviluppo delle rinnovabili. Le seguono Cile, Marocco e India che rafforzano l’azione climatica, nonostante le difficili situazioni economiche.

In fondo alla classifica ci sono, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Iran, Arabia Saudita e Kazakistan.

«La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 51° posto perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno: nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del sistema produttivo – spiega Legambiente – Un gradino più in basso, al 52° posto, si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale che però guadagna tre posizioni rispetto allo scorso anno: un risultato attribuibile alla nuova politica climatica ed energetica dell’Amministrazione Biden che inizia a dare i suoi primi frutti, grazie al considerevole sostegno finanziario all’azione climatica previsto dall’Inflation Reduction Act».

Tra i Paesi del G20, solo India (8^), Regno Unito (11°) e Germania (16^) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea raggiunge il 19° posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda.

Crisi climatica, Italia immobile

L’Italia? È in posizione 29. Uno stato di “sostanziale immobilismo” nella performance climatica, spiega Legambiente, dovuta al rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e alla politica climatica, ancora inadeguata a fronteggiare la crisi del clima. L’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), infatti, consente un taglio delle emissioni di appena il 37% rispetto al 1990 entro il 2030.

«Serve una drastica inversione di rotta – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Si deve aggiornare al più presto il PNIEC per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando, quindi, ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025, senza ricorrere a nuove centrali a gas. L’Italia può centrare l’obiettivo climatico del 65%, soprattutto grazie al contributo delle rinnovabili, ma deve velocizzare sia gli interminabili iter di autorizzazione dei grandi impianti industriali alimentati dalle fonti pulite sia quelli delle comunità energetiche, causati soprattutto dai conflitti tra ministero dell’ambiente e della cultura e dalle inadempienze delle regioni».


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