La celebrazione dell’European Consumer Day a Malta ci ha permesso di riflettere e discutere sui ritardi della rivoluzione digitale in Europa. Finora l’UE non ha utilizzato al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per vari motivi. Il mercato europeo è frazionato in 28 mercati nazionali; i 50 operatori TLC si trovano di fronte a 28 sistemi regolatori diversi, mentre i 3 cinesi e i 6 degli USA ne hanno uno solo.Alcuni Stati preferiscono sviluppare una strategia digitale nazionale, invece di aprirsi ad una Unione digitale europea creativa e funzionante.

europa 2La Commissione UE è altalenante nella destinazione delle risorse: il programma Connecting Europe Facility nel 2011 aveva destinato 9,2 mld alle infrastrutture per la banda larga nelle aree a scarsa vocazione di mercato, poi nel 2013 sono stati ridotti a 1 miliardo. Ad aprile scorso il Presidente della Commissione europea, Jean- Claude Juncker, ha annunciato 50 mld per l’industria 4.0, speriamo che restino questi fondi essenziali.

Alcuni Stati hanno timore di una regolamentazione eccessiva che potrebbe “uccidere” l’innovazione e gli investimenti privati, mortificando la capacità imprenditoriale.

A tutto questo, si aggiunge uno stato di preoccupazione diffuso in tutta l’opinione pubblica, alimentato spesso da una stampa superficiale e allarmistica, per l’eliminazione di posti di lavoro in quantità maggiore di quelli che le nuove tecnologie possono creare.

La stessa Commissione, ogni volta che prende una decisione o fa una proposta, regolamentare snocciola dati ottimistici sulla nuova occupazione (3,8 mln di nuovi posti) e nuova ricchezza (+415 mld di PIL), senza fornire però le prove di queste valutazioni, che spesso divergono a seconda del Commissario che ne parla o del provvedimento in esame. Questo crea sfiducia nei confronti della strategia digitale, dei responsabili politici e tecnici e sull’impatto della digitalizzazione.

Il CESE ripetutamente ha chiesto alla Commissione di far conoscere, se ci sono, le valutazioni di impatto ex ante e le prove dei risultati ottenuti con i vari provvedimenti. In particolare, ha chiesto a Juncker di pubblicare alla fine del mandato di questa Commissione i risultati della Agenda digitale, di cui varie misure sono state già completate.

Gli effetti negativi di questa situazione di grave ritardo hanno prodotto un digitale divide che è “territoriale”, con buona parte dell’Europa ancora senza banda larga; “generazionale”, con larghe fasce di popolazione incapace di usare internet e restia a imparare; “socioculturale”, con differenze sostanziali tra le varie classi di reddito.

È fondamentale che si coniughi da parte delle Autorità europee e nazionali una maggiore disponibilità di risorse economiche, una strategia a medio e lungo periodo e il coinvolgimento di tutte le parti interessate, a partire dai consumatori e cittadini tutti. Non possiamo perdere ancora terreno in settori fondamentali come le App, il cloud computing, i big data, le piattaforme digitali.

La dimensione sociale della rivoluzione digitale è uno di pilastri che ne possono permettere la realizzazione, partendo dall’alfabetizzazione di massa dei giovani, che magari sanno tutto di Whatsapp o di Instagram ma non sanno fare un pagamento bancario o compilare un curriculum.

La società digitale che stiamo costruendo deve essere inclusiva e non divisiva, potenziando e rafforzando le capacità relazionali e le opportunità di occupazione e sviluppo, migliorando le condizioni di vita di tutti, partendo proprio dalle persone più svantaggiate.

Editoriale a cura di Antonio Longo 

@antoniolongo50


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