Se l’italian sounding è l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per promozionare e commercializzare prodotti affatto riconducibili al nostro Paese, allora chiamare un olio extravergine con solo il 50 % di materia prima 100% italiana “Italico”, cosa è? Perché il patto tra Coldiretti e Federolio sul nuovo blend desta preoccupazione e scetticismo ai consumatori e associazioni di categoria.

Il CNO (il Consorzio nazionale degli olivicoltori,) ha lanciato una petizione online su Change.org chiedendo la sottoscrizioni a tutti coloro che vogliono salvare l’olio extravergine d’oliva italiano da chi maldestramente punta a cancellarlo. Perché l’evo non è un commodity. #salviamololioitaliano #noallemiscele #difendiamoiproduttori #tuteliamoiconsumatori.

Unasco, il consorzio nazionale dei coltivatori e produttori olivicoli, minaccia addirittura di mettere in campo qualsiasi iniziativa “anche clamorosa”. E già da subito ci va giù pesante: in medicina le cellule che per crescere all’interno di un organismo divorano le cellule sane, viene comunemente definito cancro. Prima si diagnostica, prima si interviene, più sono le probabilità che questo tumore non prenda il sopravvento portando alla morte dell’intero organismo. Perché proprio coloro che per anni hanno combattuto per una interpretazione rigida e a estrema tutela dei produttori e consumatori italiani hanno firmato un accordo che sa di compromesso e per alcuni di “inganno”.

“Condividiamo le preoccupazioni espresse dalla CNO, – ha commentato Fabrizio Premuti, presidente Konsumer Italia – Poiché l’accordo di stamattina rischia di penalizzare e svilire la forza del nostro made in Italy. Aggirare la trasparenza richiamando all’italianità prodotti che italiani non sono è un passo indietro verso la tutela della nostra produzione, della trasparenza, della tracciabilità e della sicurezza alimentare che oli di altri paesi non possono garantire”.

Al centro delle polemiche lo “storico” e “assolutamente innovativo” accordo tra Coldiretti, Unaprol, Federolio e FAI S.p.A. del  giugno(Filiera Agricola Italiana) , che coinvolge le principali aziende di confezionamento italiane. Il contratto partirà con la campagna olivicola in corso e avrà durata pluriennale proprio per garantire la stabilità e la sostenibilità economica degli imprenditori agricoli che prendono parte al contratto di filiera.

“Il primo intervento – ha spiegato Francesco Tabano, Presidente di Federolio – riguarda una reale segmentazione del prodotto, che all’interno della categoria extravergine presenta oli con caratteristiche molto diverse tra loro e una conseguente forbice di prezzo che varia tra i 4 e 50 euro al litro o più. Per aiutare il consumatore a scegliere il prodotto più adatto alle sue esigenze, al suo gusto e alla sua capacità di spesa dovrà arrivare sul mercato un olio certificato, con una tracciabilità assicurata di tutta la filiera e caratteristiche organolettiche e chimico fisiche ben individuate”.

Il tema è delicato sia in materia di trasparenza e tutela dei consumatori che economica. In Italia, infatti, si stima che siano circa 825mila le aziende olivicole con un patrimonio di oltre 350 cultivar differenti, una ricchezza e varietà che non ha uguali al mondo. Il Belpaese è prima per numero di riconoscimenti in Europa vantando 46 prodotti a denominazione, il 40% del totale. La produzione di olio certificato, non supera però il 2-3% del totale in quantità restando sotto le 10 mila tonnellate. L’Italia è stabilmente al primo posto tra i paesi importatori (531.000 tonnellate nel 2017) seguita da Stati Uniti (318.000), Spagna (172.000) e Francia (118.000) ed al secondo posto (411.000 tonnellate nel 2017) tra i paesi esportatori dopo la Spagna (1.229.000) e prima del Portogallo (135.000).

In una nota di oggi Coldiretti ricorda che per acquistare un olio extravergine di oliva (EVO) di qualità, questo deve essere profumato all’esame olfattivo deve ricordare l’erba tagliata, sentori vegetali e all’esame gustativo deve presentarsi con sentori di amaro e piccante, gli oli di bassa qualità invece puzzano di aceto o di rancido e all’esame gustativo sono grassi e untuosi. Tutto vero, ma l’etichetta è la carta di identità di tutti i prodotti ed il primo riferimento per un acquisto consapevole da parte del cittadino.


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