Pubblicità on line: tante promesse, e poi?

Tutti abbiamo a che fare con la pubblicità on line. Consumatori, aziende, agenzie creative. Noi utenti consumatori ne subiamo la presenza invasiva, molesta, avendo a nostra disposizione pochi e complicati strumenti di governo: difficile gestire i cookie (se non li accetti poi non vedi la pagina che stai cercando di vedere e se vuoi provare ad accettarne solo una parte vedrai che avventura ti si mette davanti), complicato gestire il consenso al trattamento dei dati, arduo far scomparire i pop up che ci interrompono quando stiamo leggendo qualcosa sul computer o sul cellulare. Quasi impossibile riuscire a sfuggire alle pubblicità di borse, scarpe, libri, rossetti, cellulari, pacchetti viaggio, hotel, che ci inseguono da un sito all’altro, finché alla fine non cedi e concedi una transazione con la tua carta di credito. La sensazione spesso è di non avere scelta, se non quella di innervosirci.

Le promesse (e le premesse) erano tante, milioni di milioni..

Ma, a noi utenti, può consolarci sapere che non siamo soli in questa selva digitale: infatti, udite udite, le aziende che pagano per “mandare” le pubblicità on line e le agenzie di pubblicità che le progettano non se la passano tanto meglio di noi. Anche loro sono stati “fregati” da questa trasformazione digitale della pubblicità. Se la digitalizzazione della comunicazione, i blog prima e i social dopo, aveva promesso opportunità di espressione per tutti, gratuita, immediata, mirata e al contempo pervasiva (in una parola, democratizzazione dell’informazione), anche la digitalizzazione della pubblicità aveva promesso tante cose (che vedremo a breve) riassumibili in una sola fondamentale parola: efficacia.

Invece le cose non sono proprio andate così, una fregatura c’è stata per noi utenti e per quelli che la pubblicità la fanno, la pagano e la mandano on line. Chi è stato? Le Big Tech!

Ecco, questa è in soldoni la tesi, ma soprattutto il grido di denuncia (diciamo pure piuttosto incazzato) di Marco Carnevale, pubblicitario italiano che opera da trent’anni come copywriter e direttore creativo in alcune tra le più importanti agenzie di pubblicità internazionali, si è occupato di più di 200 marche nazionali e globali ricevendo circa 170 premi. Marco Carnevale la sa lunga quindi in fatto di pubblicità, e ora ha scritto un libro: La réclame dell’apocalisse, edito da Prospero editore.

Il libro di Marco Carnevale analizza e discredita i caposaldi della pubblicità digitale, tra cui il mitico engagement

Il libro di Marco Carnevale si rivela originale sia come contenuti sia come struttura. Non si tratta di un saggio ma di un phamplet in forma di testo e galleria fotografica insieme, che nasce da una serie di post che Marco Carnevale ha pubblicato nel tempo su Facebook, dedicati al tema, e che hanno riscosso successo tra i suoi follower (circa 1500). Contenuti dal tono ironico, sarcastico, corredati da divertenti immagini.

Vediamo il contenuto del libro: come detto, Marco analizza e discredita i maggiori pilastri delle promesse fatte dalla nuova pubblicità: profilazione degli utenti dettagliata, misurabilità puntuale dei risultati, verificabilità assoluta dei dati, valore indiscusso dei risultati (engagement): queste sono le così dette “metriche” magiche grazie alle quali la pubblicità on line ha sfilato il terreno alle altre forme di pubblicità.

Ora, senza scendere troppo nel tecnico, Marco, con i suoi post, racconta dei casi specifici, in cui spiega che questi meccanismi di pervasività ed efficacia sono spesso fondati sulla falsificazione dei dati da parte delle big tech Facebook e Google. Qualche esempio: nessuno sembra voler prendere atto che il 65 per cento del traffico on line è creato da bot, ovvero utenti falsi, che non esistono, così come nessuno sembra voler credere al fatto che gran parte degli annunci automatizzati (la cosiddetta modalità programmatic) in realtà non vengono visualizzati dalla maggior parte degli utenti, perché coperti da altri annunci, mentre il 47 per cento degli user mondiali di internet al 2018 utilizza dispositivi di adblockin: 2 miliardi di persone. E soprattutto si continua a far finta di non vedere quella che è forse l’evidenza più triste oltre che preoccupante, ovvero che il livello di attenzione degli utenti praticamente non esiste più: oggi in media è di 1,7 secondi. Quindi la domanda è: chi vede realmente tutta quella pubblicità su cui gli investitori hanno messo gran parte dei loro budget?

C’è anche una ciliegina sulla torta: a conferma del fatto che la digital advertising sembra essere una grande balla è il fatto che proprio le big tech, Facebook e Google, sono tra i maggiori investitori pubblicitari nei canali tradizionali: tv e stampa.

Il libro è una galleria di immagini che nell’insieme costruisce un ampio ritratto del fenomeno della digital advertising

Il libro, dopo una premessa che ricostruisce il contesto, è strutturato in capitoli che ricalcano la struttura dei post, dove ogni testo è corredato da immagini in cornice (le stesse usate nei post) riferite al contenuto della “puntata”: a volte immagini simboliche, a volte ritratti, a volte di citazioni.

Il tutto scorre concettualmente come una gallery, che esponendo contenuti diversi nell’insieme restituisce un ritratto ampio del fenomeno.

Sono state riprese molte testimonianze di prime linee del marketing di grandi multinazionali tra cui Adidas, Procter and Gamble, Uber.

Il libro, infine, è anche un manifesto in difesa del valore del mestiere del pubblicitario e della pubblicità.


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1 thought on “Pubblicità on line: tante promesse, e poi?

  1. beh, meno male esiste adblock, mi salvaguardea un po’ e sed la pagina insiste x la disattivazizone… rinuncio a vedere la pagina. senza rimpianti.
    quanto alla pubblicità, ormai mi sono addestrata ad ignorarla dappertutto, non la sento e non la vedo.

Parliamone ;-)

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