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Cambiamenti climatici, una serie di Paesi vuole annacquare il dossier dell'Onu

Governi e paesi stanno cercando di sabotare il prossimo rapporto dell’Onu sui cambiamenti climatici. Stanno portando avanti un’azione di lobbying che contesta alcuni punti considerati necessità impellenti per risollevare le sorti della crisi climatica e del Pianeta, come quelli di eliminare la dipendenza da petrolio e carbone e di tagliare i consumi di carne.

La fuga di notizie attraverso il leak di decine di migliaia di commenti di governi, aziende e accademici, finita sulla BBC News, rivela che grandi paesi come Brasile, Argentina, Australia, Giappone, Arabia Saudita e i paesi OPEC hanno fatto pressione per annacquare il rapporto scientifico chiave delle Nazioni Unite, quello che viene dall’IPCC, International Panel on Climate Change’s, la principale autorità sui cambiamenti climatici. Cop26 si presenta insomma già a rischio.

L’inchiesta di Unearthed

La denuncia sulle pressioni nazionali per cambiare il report scientifico viene da un’inchiesta realizzata da Unearthed, il team di giornalismo investigativo creato da Greenpeace UK, sulla base di decine di migliaia di documenti, normalmente secretati, con commenti da parte di governi, aziende, scienziati e sulle bozze del prossimo rapporto dell’IPCC.

I documenti passati a Unearthed rivelano che i paesi produttori di combustibili fossili, fra cui Australia, Arabia Saudita e l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), stanno facendo pressioni perché venga rimossa la conclusione chiave degli studi, ovvero che il mondo ha bisogno di eliminare rapidamente i combustibili fossili.

 

 

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Parlamento europeo, accelerare l’azione per il clima nella COP26 ©UKCOP26.ORG

 

Lobbying contro il clima, i principali paesi coinvolti

L’azione di lobbying contro il dossier sui cambiamenti climatici è portata avanti soprattutto da paesi produttori di carbone, petrolio, carne e mangimi animali che vogliono di fatto eliminare o annacquare quelle conclusioni scientifiche che potrebbero minacciare le loro economie o i loro interessi.

«Tra i Paesi che più cercano di minimizzare gli effetti sul clima troviamo Brasile, Argentina, Australia, Giappone, Arabia Saudita e gli Stati membri dell’OPEC – denuncia Greenpeace – Ad esempio, Australia, Arabia Saudita, e l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), stanno facendo pressioni sull’IPCC per eliminare o indebolire la parte conclusiva del report che afferma che dovremmo rapidamente cessare l’estrazione di fonti fossili come carbone, petrolio e gas fossile. Tutto questo, mentre continuano a reclamizzare soluzioni fasulle come la cattura e lo stoccaggio sotterraneo della CO2 (CCS)».

Un alto funzionario del governo australiano, raccontano i leaks, ha respinto la conclusione praticamente “incontrovertibile” che uno dei passi più importanti per ridurre le emissioni di gas serra sia l’eliminazione graduale delle centrali elettriche a carbone. L’Australia è uno dei principali paesi esportatori di carbone.

Brasile e Argentina, dal canto loro, due dei più grandi produttori mondiali di carne bovina, di soia e di mangimi per animali, hanno fatto pressione per cancellare dal dossier i messaggi sui benefici per il clima che verrebbero dalla riduzione del consumo di carne e latticini e dalla promozione di diete con più alta presenza di vegetali.

Vari governo hanno chiesto di eliminare le critiche alle attività di “carbon offsetting”, la compensazione delle emissioni di gas serra tramite schemi di protezione forestale.

«Gli esperti dell’IPCC non hanno alcun obbligo di accettare questi commenti, che sono sottoposti a una rigorosa analisi scientifica sulla base dei dati disponibili – puntualizza Greenpeace – Tuttavia, alcuni commenti analizzati da Unearthed svelano le inquietanti posizioni assunte dietro le quinte, da alcuni Paesi importanti».

Il rischio è che queste pressioni finiscano per annacquare anche le conclusioni del prossimo vertice mondiale sui cambiamenti climatici. Anche attraverso una maxi azione di greenwashing sulle azioni da intraprendere. Tutto questo, denuncia Greenpeace, «fa dunque temere già per le sorti della Cop26».


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