Una settimana senza carne, perché no? Il WWF lancia la Meat Free Week
Il WWF lancia la Meat Free Week, la settimana senza carne. Il consumo di carne è triplicato negli ultimi 60 anni e questo non fa bene al Pianeta
Ridurre il consumo di carne è possibile. Per avere uno stile di vita più sano per se stessi e per l’ambiente. Anche perché, a dispetto della dieta mediterranea, gli italiani mangiano una quantità non indifferente di carne, con consumi che sono triplicati nell’arco di 60 anni. Per questo il WWF ha lanciato la Meat Free Week, la “settimana senza carne”, che si svolge in questi giorni e fino al 2 marzo. Sui propri canali l’associazione propone azioni concrete per ridurre l’ impatto ambientale e allo stesso tempo migliorare la salute a partire dall’alimentazione. Se siamo ciò che mangiamo, molti cambiamenti passano dallo stile alimentare e da più parti arriva da tempo la richiesta di ridurre la presenza della carne nell’alimentazione quotidiana anche per ragioni ambientali.
Il consumo di carne è triplicato
Rispetto a 60 anni fa il consumo di carne degli italiani è triplicato, afferma il WWF. Siamo passati da 25 kg a testa annui a oltre 80 kg. Uno stile alimentare che produce più emissioni di CO2 rispetto alla dieta mediterranea, riconosciuta come sostenibile sia per la salute umana sia per il pianeta eppure sempre più lontana dalle abitudini dei connazionali, se si considera che, come dice il WWF, “oggi solo il 13% degli italiani segue ancora questo tipo di dieta virtuosa, mentre la maggior parte, principalmente i giovani, ha incrementato notevolmente il consumo di proteine e grassi di origine animale a discapito dei prodotti a base vegetale (frutta, verdura, legumi, noci), assumendo così una quantità di proteine decisamente più elevata del reale fabbisogno giornaliero”.
Non da oggi è stato riconosciuto che la dieta mediterranea fa bene alla salute umana, all’ambiente e alla biodiversità ma è messa in pericolo da stili di vita alimentari che troppo spesso premiano cibo ad alto contenuto di zucchero, grassi e sale, pasti monotoni e troppo “ricchi”, all’interno di un’alimentazione squilibrata che è diventata grande fattore di diffusione dell’obesità e della cattiva nutrizione.
Spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità presso il WWF Italia: «Un passaggio a diete a base vegetale sarebbe la vera chiave di volta per risolvere con un unico gesto i problemi ambientali e garantirci migliori condizioni di vita. Se si passasse a una dieta senza carne a livello globale si ridurrebbe del 76% l’uso del suolo legato all’alimentazione, del 49% le emissioni di gas serra legate all’alimentazione, del 49% l’eutrofizzazione (ossia l’eccesso di nutrienti, in particolare composti dell’azoto e del fosforo, nell’acqua e nel suolo) e del 35% l’uso di acqua blu e verde insieme».
Oltre gli allevamenti intensivi
Tutti vegani e vegetariani, dunque? Senza la necessità di arrivare a questa scelta, la riduzione del consumo di carne è comunque una via indicata da diverse sigle (ambientaliste, animaliste) che hanno a cuore il pianeta, le sorti dell’ambiente e quelle degli animali. Non a caso il WWF ricorda l’impatto degli allevamenti intensivi e ha proposto, insieme a Greenpeace Italia, ISDE – Medici per l’ambiente, Lipu e Terra!, una normativa per la transizione agro-ecologica della zootecnia. E questa richiede appunto una riduzione dei consumi di carne e di prodotti di origine animale provenienti da allevamenti intensivi.
Andare oltre gli allevamenti intensivi, insomma. In Europa, ricorda il WWF, più dell’80% della carne proviene da allevamenti intensivi. In Italia l’85% dei polli e oltre il 95% dei suini sono allevati intensivamente, e quasi tutte le vacche da latte non hanno accesso al pascolo libero.
Le conseguenze degli allevamenti intensivi sono pesanti. Sono responsabili del 16,5% delle emissioni globali di gas serra e del 60% delle emissioni dell’intero settore agroalimentare. Gli allevamenti intensivi consumano risorse: fino al 10% dell’acqua dolce del Pianeta e fino al 30% delle terre non coperte dai ghiacci. Contribuiscono alla deforestazione, perché le foreste pluviali vengono abbattute per ottenere pascoli e coltivare soia e cereali destinate all’alimentazione animale.
C’è inoltre il tema etico e del benessere animale, sempre più sentito dai consumatori. Gli allevamenti intensivi, ricorda il WWF, sono “uno dei sistemi di produzione alimentare più crudeli che costringe gli animali a vivere tutta la vita in spazi sovraffollati, con luce artificiale o al buio e nessuna possibilità di mettere in atto comportamenti naturali”. C’è l’emergenza sanitaria globale dell’antibiotico-resistenza collegata anche a un abuso di questi farmaci nell’allevamento. Secondo un sondaggio condotto lo scorso anno per il CIWF (Compassion in World Farming) in Italia una persona su cinque (19%) ignora i principali rischi per la salute dovuti all’alto consumo e alla sovra-produzione di carne.