Tessile sostenibile, arriva Slow Fiber per prodotti “belli, sani, puliti e giusti” (Foto di Van3ssa 🩺 Zheki 🙏 Dazzy 🎹 da Pixabay)

Prodotti tessili belli, sani, puliti, giusti e in grado di durare nel tempo. Contro abbigliamento e arredamento fast, che alimentano consumi e sprechi, arriva la nuova rete Slow Fiber per “la rivoluzione sostenibile del tessile made in Italy”.

La rete, che nasce dall’incontro fra Slow Food e 16 aziende virtuose del tessile, rappresenta un esempio di cambiamento che implica produzione sostenibile e creazione di prodotti “belli, sani, puliti, giusti e durevoli” non solo nel campo del cibo.

È un progetto che vuole essere la risposta al fast fashion e dunque a comportamenti di consumo in cui “compriamo troppo e sprechiamo più che mai”, non solo con il cibo ma anche per abbigliamento e dell’arredamento. Il riferimento è alla fast fashion, che anche le recenti politiche europee vogliono mettere “fuori moda” per puntare a prodotti tessili sostenibili e circolari, che durino più a lungo e siano più facili da riutilizzare, riparare e riciclare.

Slow Fiber per il cambiamento culturale nel tessile

Dall’incontro fra Slow Food Italia e alcune realtà del tessile italiano nasce dunque Slow Fiber, “un movimento la cui voce, oggi più che mai, squarcia il panorama di un sistema di produzione nocivo e inarrestabile in cui da troppo tempo siamo intrappolati, come consumatori e come imprenditori”, informa una nota stampa.

“Slow Fiber si pone come obiettivo il cambiamento produttivo e culturale nel settore tessile, rendendo tutta la filiera più sostenibile e promuovendo un consumo più consapevole e responsabile” (Slow Fiber).

L’idea è appunto quella di un modello diverso dalla fast fashion, che ha imposto capi prodotti in grande qualità e bassa qualità e che creano molti rifiuti, con un cambiamento nel valore della “bellezza”. Il richiamo è anche al potere dei consumatori di scegliere prodotti belli, sani, puliti e giusti.

Spiega Dario Casalini fondatore di Slow Fiber: «Negli ultimi decenni il modello del fast fashion ha imposto una coincidenza tra nuovo e bello. Capi che vengono prodotti in grandi quantità e bassa qualità e creano rifiuti. L’idea è invece quella di recuperare un concetto di bellezza che abbia anche dei valori etici perché essere sostenibili significa avere un atteggiamento intellettualmente onesto e quindi prendere in considerazione tutto il sistema».

Figlio di Slow Food, che da anni è impegnata a promuovere un cibo buono, pulito e giusto per tutti, Slow Fiber propone lo stesso percorso e gli stessi valori nell’ambito del vestire e dell’arredamento.

 

 

Slow Fiber vs fast fashion

“Il frenetico progresso dell’uomo ci ha portato oltre il consumismo, trasformandoci nella società dello spreco: oggi si stima che siano prodotti ogni anno oltre 150 miliardi di pezzi di abbigliamento e accessori, di cui quasi la metà rimane invenduta”, si legge nel Manifesto di Slow Fiber, per il quale “un modello produttivo e commerciale fondato sulla qualità, sulla circolarità e sulla dignità è ancora possibile”.

Il contesto di riferimento è quello del consumo e dello spreco nei prodotti tessili. Anche per gli abiti che i consumatori acquistano a velocità vertiginosa e che finiscono altrettanto rapidamente in rifiuti: si stima che ogni europeo getti via circa 11 kg di vestiti l’anno – indossati pochissimo.

Secondo il report della Commissione Europea dal titolo Textiles and the environment in a circular economy: the role of design in Europe’s circular economy, la produzione e il consumo di prodotti tessili continua ad aumentare, così come il loro impatto sul clima, sul consumo di acqua e di energia e sull’ambiente.

“La produzione mondiale di questi prodotti è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 – ricorda una nota di Slow Food – e il consumo di capi di abbigliamento dovrebbe aumentare del 63 % entro il 2030, passando dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni di tonnellate. Nell’Unione europea il consumo di prodotti tessili rappresenta attualmente in media il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per quanto riguarda l’uso dell’acqua e del suolo dalla prospettiva globale del ciclo di vita. Ogni anno nell’UE vengono buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ogni europeo acquista ventisei chili di vestiti all’anno e ne butta via undici dopo averli indossati appena 7-8 volte mentre solo il 13% di essi viene riutilizzato o riciclato”.

Le aziende fondatrici di Slow Fiber si sono autoregolamentate attraverso Il Manifesto di Slow Fiber con una autovalutazione che ha una doppia funzione: allineare tutte le aziende del network a intraprendere o a rafforzare i propri percorsi di sostenibilità e a supportare i nuovi aderenti nella realizzazione di percorsi chiari, trasparenti, misurabili.

Dice Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia : «Slow Fiber ha deciso di sostenere Slow Food abbracciandone i valori del buono, pulito e giusto: perché la bellezza senza etica è marketing».

La rete Slow Fiber in Italia

Slow Fiber riunisce dunque una rete di aziende del tessile italiano che “attraverso il proprio operare dimostrano che è possibile creare prodotti tessili, per il vestire e l’arredare, che siano non solo belli, ma sani per chi li usa, puliti perché l’impatto ambientale dei processi produttivi è ridotto, giusti perché rispettano i diritti e la dignità dei lavoratori coinvolti nella loro realizzazione e valorizzano competenze e saperi tradizionali e sono in grado di durare nel tempo, contrapponendosi al concetto di fast-use e fast-fashion”.

Le aziende del tessile italiano che aderiscono già a questi requisiti sono: Oscalito, L’Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico.


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Sabrina Bergamini
Sabrina Bergamini
Giornalista professionista. Direttrice di Help Consumatori. Romana. Sono arrivata a Help Consumatori nel 2006 e da allora mi occupo soprattutto di consumi e consumatori, società e ambiente, bambini e infanzia, salute e privacy. Mi appassionano soprattutto i diritti, il sociale e tutti quei temi che spesso finiscono a fondo pagina. Alla ricerca di una strada personale nel magico mondo del giornalismo ho collaborato come freelance con Reset DOC, La Nuova Ecologia, Il Riformista, IMGPress. Sono laureata con lode in Scienze della Comunicazione alla Sapienza con una tesi sul confronto di quattro quotidiani italiani durante la guerra del Kosovo e ho proseguito gli studi con un master su Immigrati e Rifugiati. Le cause perse sono il mio forte. Hobby: narrativa contemporanea, cinema, passeggiate al mare.

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