Carne coltivata in vitro, posizioni favorevoli e contrarie. Il dibattito in Italia
L’apertura degli Stati Uniti alla cosiddetta “carne coltivata in vitro” ha dato il via a un ampio dibattito in Italia, tra alcune realtà del settore agroalimentare e le associazioni per la protezione animale
Gli Stati Uniti hanno aperto le porte alla cosiddetta “carne sintetica”, chiamata anche “carne in provetta” o “carne coltivata in vitro”. La Food and Drug Administration (Fda), infatti, ha annunciato recentemente l’approvazione di un prodotto a base di carne ottenuto da cellule animali, accogliendo la proposta dell’azienda Upside Foods, che “produce ‘pollo’ sintetico, raccogliendo cellule da animali vivi che vengono moltiplicate in un bioreattore”. (Ansa)
In Italia non sono mancate le polemiche, sia da parte delle Istituzioni sia da parte di alcune realtà del settore agroalimentare, seguite dai commenti di alcune associazioni animaliste che appoggiano, invece, la diffusione di questo nuovo prodotto.
Ma facciamo un passo indietro.
Cos’è la “carne coltivata”?
Come spiegato da Animal Equality in un approfondimento dedicato, “la carne coltivata in vitro è conosciuta anche come clean meat (carne in vitro), in quanto non deriva dalla macellazione degli animali, ma si tratta di un prodotto che replica in laboratorio carne, pesce e uova. La tecnica consiste nel prelevare cellule muscolari e nutrirle con proteine che aiutano la crescita del tessuto. Una volta che il processo è partito, teoricamente è possibile continuare a produrre carne all’infinito, senza aggiungere nuove cellule da un organismo vivente”.
A questa tipologia di prodotti si affiancano le cosiddette “carni ibride”, ossia “prodotti che contengono sia proteine animali sia proteine vegetali”.
Il dibattito, le posizioni contrarie
Come detto, il primo via libera degli Stati Uniti alla “carne coltivata” ha suscitato immediate reazioni in Italia, a partire dalla Coldiretti, che ha lanciato l’allarme su una possibile apertura dell’UE, dove – afferma in una nota – “già ad inizio 2023 potrebbero essere introdotte le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio, che coinvolgono Efsa e Commissione Ue”.
È una “corsa contro il tempo”, dichiara la Coldiretti, che ha lanciato una petizione insieme a Campagna Amica, World Farmers Markets Coalition, World Farmers Organization, Farm Europe e Filiera Italia, raccogliendo oltre 200mila firme su tutto il territorio nazionale per promuovere una legge che vieti la produzione, l’uso e la commercializzazione del “cibo sintetico” in Italia.
“La verità che non viene pubblicizzata – afferma la Coldiretti – è che non è carne, ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute, perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è accessibile a tutti poiché è nelle mani delle grandi multinazionali”.
Una posizione appoggiata anche da FederBio, secondo cui è necessario, invece, “puntare sul consumo di carne biologica, proveniente da allevamenti sostenibili, rispettosi della biodiversità, attenti alla valorizzazione delle risorse naturali e in grado di generare solidi legami all’interno dei territori e delle comunità in cui sono insediati”. Maria Grazia Mammuccini, Presidente di FederBio, ha dichiarato: “Sottoscriviamo con convinzione l’iniziativa di Coldiretti perché crediamo che sia fondamentale porre subito un freno alla deriva del cibo sintetico. La necessità di convertire gli allevamenti intensivi deve portare alla valorizzazione delle realtà locali che operano con metodo biologico ed estensivo. Cioè sull’approccio agroecologico, che prevede animali al pascolo per favorire la fertilità del suolo e mette al centro la dimensione sociale in cui agricoltori e comunità locali sono i protagonisti della produzione di cibo”.
Anche il Governo – chiarisce il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida – “è contrario a cibo sintentico e artificiale e ha intenzione di contrastare in ogni sede questo tipo di produzioni”. (Ansa)
Animalisti: “sulla “carne coltivata in vitro” poca informazione e molta demagogia”
Non sono d’accordo le associazioni per la protezione animale, secondo cui la produzione della “carne coltivata in vitro” comporta diversi vantaggi, dalla lotta allo sfruttamento degli animali negli allevamenti ai benefici per l’ambiente.
Secondo quanto spiegato da Animal Equality “attualmente ci sono circa 400 milioni di persone nel mondo che seguono un’alimentazione interamente vegetale”. Pertanto “accanto all’alimentazione a base vegetale, le soluzioni alimentari alternative caratterizzate da proprietà nutritive e sensoriali paragonabili alla carne possono aiutare a ridurre o eliminare lo sfruttamento industriale degli animali e favorire un nuovo sistema di produzione e consumo alimentare non più basato sulla sofferenza e sulla violenza”.
Inoltre – spiegano in una nota congiunta Animal Equality Italia, Animal Law Italia, CIWF Italia, Essere Animali LAV, LNDC Animal Protection – “l’allevamento intensivo è una delle fonti più inquinanti dell’ambiente, sia in riferimento alle emissioni di gas in atmosfera, che per il riversamento di liquami nei terreni e nelle acque, senza parlare poi della deforestazione di enormi porzioni di foreste in tutto il mondo, per far posto a colture di cereali destinati all’alimentazione degli animali detenuti negli allevamenti”.
“Ci chiediamo in rapporto a cosa il “cibo sintetico” consumi e inquini di più rispetto a quello che arriva dagli allevamenti intensivi, sistema predominante in tutta la filiera italiana – affermano le associazioni animaliste. – Se Coldiretti vuole davvero parlare di inquinamento, lo faccia senza trascurare l’enorme impatto dell’allevamento di animali. E in riferimento all’espressione ‘cellule impazzite‘, riferendosi alle cellule staminali di origine animale utilizzate per produrre carne coltivata, dobbiamo ricordare che questi procedimenti di coltura cellulare sono utilizzati dalla comunità scientifica da decenni”.
E sul piano dei rischi per la salute umana, gli animalisti non hanno dubbi: “sono molto più evidenti quelli relativi all’allevamento intensivo, in cui vi è un uso sistematico di farmaci, fattore che spiana la strada ai superbatteri e all’antibiotico-resistenza. Rischio che per la carne in vitro non sussiste”.