Influenza aviaria, Efsa: il virus continua a diffondersi in Europa
L’influenza aviaria continua a diffondersi in Europa fra gli uccelli selvatici e si propaga ai mammiferi selvatici e domestici. Le infezioni umane rimangono rare e non ci sono casi documentati di infezione fra esseri umani, ma bisogna prestare attenzione ai cambiamenti possibili nel virus. Oggi un nuovo rapporto Efsa-Ecdc
Il virus dell’influenza aviaria continua a diffondersi in Europa e provoca un’elevata mortalità fra gli uccelli selvatici, si propaga ai mammiferi selvatici e domestici e causa focolai negli allevamenti. A oggi non sono state riscontrate infezioni da uomo a uomo (mentre casi di infezioni di influenza aviaria fra gli esseri umani sono documentati in Cambogia e Cina) ma attenzione ai cambiamenti possibili e all’evoluzione del virus. Un rapporto scientifico dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) valuta i fattori di rischio per una potenziale pandemia influenzale. Entro la fine dell’anno le due Autorità pubblicheranno un parere scientifico che valuterà come potrebbe verificarsi una potenziale pandemia influenzale e conterrà orientamenti per ridurre il rischio per la salute umana.
Influenza aviaria, i fattori di diffusione e di rischio
Nell’ultimo aggiornamento diffuso oggi sull’influenza aviaria, gli esperti hanno identificato alcune specie di animali da pelliccia, come visoni e volpi, altamente sensibili ai virus dell’influenza, come possibili fattori di diffusione. Sebbene la trasmissione da mammiferi a mammiferi non sia ancora stata confermata, spiega una nota Efsa, “i mammiferi selvatici potrebbero fungere da ospiti ponte tra uccelli selvatici, animali domestici e esseri umani. Anche gli animali da compagnia, come i gatti, che vivono in casa e con accesso all’esterno possono essere un potenziale veicolo per la trasmissione”.
Altro fattore che può entrare in gioco nella diffusione dell’influenza aviaria è la produzione agricola all’aperto in zone ricche di uccelli acquatici o con scarsa biosicurezza.
Ancora: un ruolo aggiuntivo viene dagli eventi meteo estremi e dai cambiamenti climatici che “possono influenzare l’ecologia e la demografia degli uccelli selvatici e quindi influenzare il modo in cui la malattia si sviluppa nel tempo”.
Rare le infezioni umane, ma…
“Le infezioni umane da influenza aviaria rimangono rare e non è stata osservata alcuna infezione da uomo a uomo”, spiega l’Efsa negli ultimi dati relativi alla diffusione dell’aviaria.
Ma attenzione anche a un altro passaggio, contenuto nel documento che analizza i fattori trainanti di una possibile pandemia.
“Se i virus dell’influenza aviaria A(H5N1) acquisissero la capacità di diffondersi in modo efficiente tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala a causa della mancanza di difese immunitarie contro i virus H5 negli esseri umani”.
Gli ultimi numeri dicono che fra il 2 dicembre 2023 e il 15 marzo 2024 sono stati segnalati focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità in 227 uccelli domestici e 414 selvatici in 26 paesi europei. Rispetto agli anni precedenti, sebbene ancora diffuso, il numero complessivo di rilevamenti di virus HPAI negli uccelli è stato significativamente inferiore, tra le altre ragioni probabilmente a causa di un certo livello di immunità del gregge nelle specie di uccelli selvatici precedentemente colpite, con conseguente riduzione della contaminazione dell’ambiente, e una diversa composizione dei genotipi A(H5N1) circolanti.
Dalle autorità arriva dunque l’invito a collaborare in una prospettiva “One Health” per limitare l’esposizione dei mammiferi, compresi gli esseri umani, ai virus dell’influenza aviaria. “La sorveglianza animale e umana dovrebbe essere rafforzata”, spiega l’Efsa.